2003 ottobre 4 Il Papa malato

2003 Ottobre 4 – Il Papa malato

Un cardinale italiano ha raccontato ieri di essere stato in questi giorni a pranzo dal papa e di aver
notato il normale menù di una persona che sta bene: pasta di fettuccine per primo piatto, bistecca
per secondo e alla fine una bella fetta di torta mezza dolce e mezza salata. Ma un cardinale tedesco
aveva appena consigliato di pregare per il papa, mentre un cardinale viennese dichiarava
testualmente alla radio austriaca che il “Pontefice si sta avvicinando agli ultimi giorni e mesi della
sua vita.”
Nonostante gli amletici sussurri sulla sua salute, non occorre essere cardinali per temere che Karol
Wojtyla stia consumando le forze. A 83 anni il papa é sempre più ammalato, handicappato dal
morbo di Parkinson e stanco: Sorella Televisione, che lo inquadra benevola da 25 anni, ne svela
oggi senza pietà il declino fisico più di qualunque allarme e/o rassicurazione del Vaticano.
Questo papa vive il tempo della comunicazione totale come suo destino in diretta , con la città della
cristianità e con il mondo, “urbi et orbi”, nella buona come nella cattiva condizione personale. Il suo
volto, le sue mani, il suo passo, sono i più scrutati del pianeta in mondovisione. E può apparire dove
nessuno dei suoi 262 predecessori avrebbe nemmeno sospettato, dal computer al digitale, da
Internet ai telefonini cellulari di ultimissima generazione, tutti nuovissimi strumenti missionari.
Nulla di Giovanni Paolo II appartiene alla privacy, né una smorfia né uno sguardo spento. Per
paradosso, mai un’ autorità spirituale ha anzi visto la propria immagine farsi così corporea, quasi
fosse s-legata dal pontificato ma ogni giorno più legata al gesto umano e alla caducità del vivere.
Un contrasto che risalta il doppio anche perché il papa che viene dall’Est europeo ha fatto a lungo
l’atleta di Dio.
I suoi numeri sono impressionanti: 100 viaggi all’estero, 142 visite in Italia, quasi 900 incontri con
capi di Stato e primi ministri. Da vescovo di Roma non si é dimenticato nemmeno delle sue 334
parrocchie visto che ne ha visitate 301. Soltanto con le udienze pubbliche degli infiniti mercoledì ha
incontrato quasi 17 milioni di pellegrini.
Secondo Leo Longanesi, intellettuale tra i più disincantati del secolo scorso, un papa dovrebbe
parlare al massimo una volta ogni cinque anni, rivolgendosi ai fedeli rigorosamente in latino
apposta per farsi capire soltanto da pochi eletti. Wojtyla parla da 25 anni a tutti usando un sacco di
lingue per non escludere nessuno, anche se adesso gli diventa difficile proprio la sua specialità:
pronunciare bene la parola di Gesù.
Nessun’altra malattia gli pesa di più. Nonostante sia stato un giorno capace di assorbire in corpo
perfino le pallottole sparate da pochi metri per ucciderlo, é molto probabile che faccia molta più
fatica oggi nel dover cedere il microfono a un suo assistente per lasciare che concluda lui i discorsi
inciampati sulle sue tremule labbra.
Che grande sacrificio questo, per il papa che regna anche attraverso l’ecumenismo in diretta della
telecamera. Lui, oltretutto, il papa poliglotta del balcone spalancato su piazza san Pietro, del dialogo
tra religioni, della preghiera collettiva, della Via Crucis satellitare, del viaggio missionario alla
scoperta anche del mondo più indifferente e a volte sospettoso se non addirittura ostile verso la
Chiesa di Roma.
Il papa ha visto franare ogni muro. Al Muro comunista di Berlino diede una mezza spallata di
persona, da polacco, da cattolico, da uomo libero, da “Guerriero della pace” come lo definisce ora
un libro del settimanale Espresso. Ma, con l’avvento della tecnologia globale, é stato anche
testimone e protagonista della caduta di tanti confini storici e di tante separatezze virtuali: nel
mondo fattosi sempre più piccolo, il carisma di Karol Wojtyla é sembrato sempre più grande.
Sicché, quando un giorno fosse la sua ora, sarebbe forse più provvidenziale per la stessa Chiesa un
altro papa straniero. Un uomo coerente con un tempo poco romano e pochissimo curiale ma, al
contrario, di orizzonti anche religiosi sempre più vasti, curiosi e difficili. Il papa del viaggio, atleta
di Dio, insegna da 25 anni come si fa, con il permesso dello Spirito Santo.
Nel frattempo, non ha nessuna intenzione di arrendersi, nemmeno quando legge sulla stampa
internazionale la parola “dimissioni”. Non a caso ha tutto il mese di ottobre già pieno. Oggi fa un

santo; dopo domani andrà a Pompei; poi beatificherà Madre Teresa di Calcutta, e così via, senza
pause, sfidando se stesso. E sogna di visitare ancora una volta la sua Polonia.
Riuscisse davvero a tornare a Cracovia, quel giorno scenderebbe dall’aereo più il piccolo Karol
dell’infanzia che il pontefice Giovanni Paolo II. Là parlerebbe con il silenzio al padre che faceva il
sarto e alla mamma, figlia di artigiani, che morì quando lui aveva soltanto nove anni. Parlerebbe ai
suoi ricordi di operaio, prima come cavatore di pietra poi all’industria chimica Solvay. Parlerebbe
alla sua giovane memoria di clandestino durante l’occupazione nazista. Parlerebbe senza alcun
balbettio, a labbra chiuse.
Il papa molto malandato con il corpo resta in salute con la mente ed é bambino nel cuore.