2003 novembre 21 Terrorismo

2003 Novembre 21 – Terrorismo

Lo scrittore Giovanni Comisso raccontava che nei mercati contadini toccava ai padri concludere i
grossi affari con buoi e vacche mentre i figli si facevano le ossa trattando maialini e asinelli. Ora gli
asinelli compaiono in diretta sulla CNN, il “Cable News Network” che ha inventato vent’anni fa la
televisione globale. Sono l’ultima arma intelligente del terrorismo.
Docile alle stanghe, l’ asinello visto in azione a Baghdad tira un carrettino come tanti, da non dare
assolutamente nell’occhio, ma con un carico di una ventina di razzi coperti da uno strato di verdura
e pronti a colpire a comando. E’ già un simbolo, sarà un’icona del nostro tempo.
Nessuna immagine ha mai fotografato meglio la distanza tra guerra e guerriglia: un esercito
moderno impiega la tecnologia; il terrorismo usa tutto, anche ignari asinelli lanciarazzi in città o
semplici taglierini alla gola dei piloti per dirottare gli aerei suicidi dell’ 11 settembre 2001. E con un
diserbante si può provocare un’esplosione degna del tritolo. La “guerra santa” si finanzia in dollari
ma santifica ogni mezzo, ogni arma, infligge orrore attraverso la quotidianità.
Romano Prodi avverte che adesso “nessuno di noi é esente” dalla minaccia. Il commissario europeo
si rivolge a “noi” europei, italiani compresi. Nessuno é più esente, tanto meno i turchi che fanno
parte da sempre dell’alleanza militare occidentale con una popolazione al 90 per cento di religione
islamica.
Per la prima volta dall’abbattimento delle torri di New York, stiamo del tutto alla pari con gli
americani. Questa la novità non da poco. Fino a ieri eravamo alleati; oggi l’integralismo islamico ha
decretato che siamo la stessa cosa.
Due anni fa si diceva che nel mondo nulla sarebbe stato più come prima. Lo ripetevamo unanimi
anche noi italiani però senza crederci troppo, convinti come siamo da sempre che qualcuno
provvederà per noi e che alla fine le cose si aggiusteranno da sole. In fondo, era franato su se stesso
– senza sparare un colpo – perfino il disperante Muro del comunismo.
In Iraq, l’Italia ha invece tentato l’impossibile operazione dell’alleato che prende le distanze. In
parole povere l’obbiettivo era di stare con gli americani sembrando poco o niente americani; di
inviare militari con strategia civile. Il senso della missione “umanitaria” consisteva esattamente in
questo sdoppiamento, un po’ generoso un po’ tattico.
Guidato da una sola mente o policentrico che sia, il terrorismo ha fatto tabula rasa di ogni distinguo
e di ogni presunta zona franca. Nella sua aberrazione, é stato coerente: prima ha colpito l’Onu
pacifica e l’umanitaria Croce Rossa, poi il contingente militare che ad essi assomigliava di più. I
nostri carabinieri.
L’Italia vive un pericolo doppio, dunque una doppia paura. Per i suoi soldati in Iraq e per il
territorio nazionale, sul quale sono stati dislocati 18 mila uomini a tutela di più di ottomila
obbiettivi. Su per giù due uomini a bersaglio.
Il fatto é che il nostro Paese diventa tutto un obbiettivo terribilmente sensibile. La mafia prese a
bombe anche le chiese. Se ha deciso, l’integralismo stragista avrà soltanto l’imbarazzo della scelta.
Ho sentito Rosy Bindi, parlamentare della Margherita, dire l’altra sera in televisione che con l’Islam
occorre “aprire un confronto”. Linguaggio vecchio per un problema nuovo: un certo Islam non
vuole aprire nessunissimo confronto, anzi si é dato precisamente l’obbiettivo di minare alla lunga il
dialogo non facile ma non impossibile con l’intero Islam. Noi vorremmo, loro sparano.
Che si fa? Si fa quanto consigliato dal cardinale Carlo Maria Martini, grande biblista che lavora per
una Gerusalemme ecumenica: ”Si tratta di entrare in dialogo – disse ancor prima dell’ 11 settembre
– con tutte le componenti dell’ Islam che lo accettano.” Con quelle che lo rifiutano alla radice, non
rimane che la realistica presa d’atto.
E’ in corso una guerra che prende le forme della guerriglia, ma che guerra é. Con un’appendice di
rischi che nemmeno gli esperti sanno minimamente misurare.
Nessuno invoca la scontro di civiltà, ma questo terrorismo ne esporta l’incarnazione. Nessuno
sottovaluta oggi la minaccia, ma sono tante le divisioni sul come affrontarla. Nessuno scommette su
soluzioni soltanto militari, ma tutto l’Occidente sa che dovrà in ogni caso combattere una guerra

mondiale, investire uomini e mezzi sulla sicurezza, controllare i flussi migratori, spendere molto
denaro pubblico e, soprattutto, pagare costi umani. Ieri Baghdad e Istanbul, domani chissà.
Nulla sarà più come prima. Siamo già un Paese meno libero, perché molto più insicuro.