2003 maggio 11 Politica

2003 Maggio 11 – Politica

Una decina di anni fa uscì un saggio politico che, già nel titolo, definiva l’Italia “l’ultimo
manicomio”. Sul manicomio niente da ridire, ma oggi si dimostra più che mai che quello non era
l’ultimo né il più scombinato. Tant’è vero che gli stessi appelli del capo dello Stato ad abbassare i
toni entrano da un orecchio ed escono dall’altro secondo un rito oramai sfibrato.
Non si trattasse di istituzioni, la cosa sarebbe perfino comica. Quasi un nuovo gioco di società.
Il primo a dichiararsi d’accordo con Ciampi è sempre il presidente Berlusconi, che è anche il primo
a fare l’esatto contrario di ciò che il presidente della Repubblica raccomanda a tutti. Sicché i tanti
inviti al dialogo e al rispetto coincidono con l’eco di altrettante cannonate, il tutto plasticamente
gomito a gomito nelle medesime prime pagine dei quotidiani.
Con i tanti urgenti problemi che ha davanti a sé, questo è un Paese che guarda all’indietro, come
seduto su macerie politiche e umane mai rimosse .La stessa Costituzione del 1948, fondamento
della Repubblica, si vede catalogata quale reperto di stampo “sovietico”. Senza contare che, a oltre
mezzo secolo dalla caduta del regime fascista, il termine più in voga nella nostra democrazia è
tuttora “regime”, abusivamente usato sia contro Berlusconi che da Berlusconi.
Incredibile ma vero, la politica italiana resta prigioniera della storia, sprecando in archivio la grande
parte delle proprie energie. Mantiene sotto inchiesta parlamentare il passato, da Tangentopoli ai
finanziamenti illegali della prima Repubblica, ma non per trovare verità e fare utili conti. No,
soltanto per scovare materiali di pronto uso nel ring politico della seconda o terza Repubblica
ventura.
E’ l’Italia che si condanna a viaggiare con lo sguardo bloccato sul retrovisore. Un’Italia sempre
sull’orlo della prescrizione, a metà fra oblio e accertamento, che non a caso tiene sotto decennale
processo il passato politico ( del pensionato Andreotti) e il passato imprenditoriale ( del presidente
in carica Berlusconi).
Il colmo è che, con tutto questo passato ancora tra i piedi, manca soprattutto la buona memoria! La
rimozione dei ricordi può essere anche un esercizio carico di tormenti. La revisione della storia può
essere un provvidenziale ricupero di onestà. Ma non c’è niente di nobilmente faticoso nella
omissione dei fatti se non nella falsificazione più svergognata.
Non mi riferisco a sentenze; non parlo di processi né mi travesto da avventuroso pubblico ministero
a carico di chicchessia. Parlo di un fatto politico oggettivo come la pioggia e il sole, che abita già
nei libri di storia, che ha i suoi atti ufficiali e le sue date: 22 dicembre 1994, caduta del primo
governo dell’on. Berlusconi dopo 7 mesi e 12 giorni.
Ecco il punto. E’ del tutto falso che il cosiddetto “ribaltone” sia stato opera di un avviso di garanzia
spedito un mese prima a Berlusconi dai magistrati milanesi di Mani Pulite. E’ del tutto vero che fu
l’on. Bossi a sfiduciare Berlusconi dopo mesi di sfiducia ampiamente annunciata.
Non ce ne frega niente del 1994 in sé, acqua abbondantemente passata. Dovrebbe importare soltanto
l’oggi, a patto di liberarlo dalle date truccate.
Nessun complotto giudiziario liquidò quel governo. Lo fecero tre mozioni di sfiducia presentate alla
Camera: una firmata in coppia da Bossi e dal popolare Buttiglione; una da D’Alema e una da
Bertinotti. Bossi, Buttiglione e D’Alema si erano incontrati più volte per accordarsi: tutti e tre sono
vivi e vegeti; basta intervistarli.
Spiegò Bossi a Bruno Vespa:” Le cose si sono messe a correre intorno a metà novembre, con lo
scaldarsi della legge finanziaria e delle pensioni.” L’avviso di garanzia a Berlusconi era di là da
venire; la scena era tutta occupata dagli ultimatum di Bossi, anche sulle tv di “Berluskaiser dei miei
stivali”. Così lo chiamava Bossi.
Non solo. In quel fatidico inverno del 1994, Berlusconi era indagato per corruzione ma lo stesso
Bossi, Occhetto e D’Alema lo erano per finanziamento illegale ai loro partiti mentre a Venezia
fioccavano gli arresti di funzionari delle Cooperative rosse.

Basta andarsi a rileggere in Parlamento i verbali della sfiducia. Fu uno scontro a due, di Berlusconi
e Bossi. Non tra Berlusconi e opposizione e , meno che meno, tra Berlusconi e magistratura. La
faida era tutta interna alla maggioranza, personale.
Il “traditore” era Bossi, che aveva preparato il “terreno della rapina elettorale”. Era lui il “ladro di
voti”. Il premier aggiunse irato:” Il mandato elettorale di Bossi è carta straccia. L’uomo che ha
tradito il Polo ha una personalità doppia, tripla, quadrupla.”
Bossi non si fece intimidire. Rivolto a Berlusconi disse:”Questa non è e non sarà mai la Camera dei
Fasci e delle Corporazioni. Onorevole Presidente Berlusconi, lo Stato non è lei e dopo di lei non c’è
il diluvio. Le chiedo con che diritti lei batta i pugni sul tavolo dichiarando la sua insostituibilità.”
Visto che l’Italia ha la libidine di dedicarsi al passato piuttosto che al futuro, evitiamo almeno di
barare. Il 1994 fu l’anno di Bossi, stop.