2002 settembre 30 Referendum

2002 Settembre 30 – Referendum

I referendum hanno almeno questo di bello, che non contemplano il pareggio e dunque lasciano
capire subito chi ha vinto. Ha vinto il “no”, e adesso sarebbe puro onanismo politico che il “sì”
facesse finta di nulla provando ad accaparrarsi al volo il partito dell’astensione, largamente
maggioritario come nelle più sensate previsioni.Calma e gesso,meglio per tutti ragionare.
Poiché trasversale, tutti sanno che è sempre molto difficile dare colore partitico all’astensione,
soprattutto quando si tratta di referendum e, in particolare, quando il referendum è valido qualunque
sia l’affluenza ai seggi. Oltretutto, buona parte dell’astensione di domenica andrebbe a mio
facoltativo parere valutata come una sorta di “sfiducia costruttiva” di massa nei confronti dell’intero
ceto dirigente del Friuli-Venezia Giulia.
In parole povere, ha vinto il “no” ma l’astensione manda a dire tanto al “no” quanto al “sì” che le
istituzioni regionali non godono affatto di buona salute. Il “no” del 2002 cambia la figura del
prossimo presidente della Regione; le elezioni del 2003 applicheranno la nuova regola del “no” e
dovranno dare risposta anche al non-voto di 76 elettori su 100.
A volte, in democrazia, anche il non-voto vota, pesa e vale erga omnes. Può essere addirittura
salutare, se letto con lungimiranza e senza settarismo, oltre le appartenenze.
Come spesso accade, anche questo referendum ha fatto a pezzi gli schieramenti bipolari. Qui di
politico resta più che mai la risposta nuda e cruda data alle nove righe del quesito: il “no” indica la
voglia di esecutivo, la domanda di potere esecutivo, e cioè l’accento messo dagli elettori sul
bisogno di governare, di scegliere, di fare le cose con meno vincoli di rappresentanza.
Non è un “no” ai partiti ma alla palude dei partiti, il che è tutt’altra cosa come sa meglio di
chiunque proprio il Friuli-Venezia Giulia, regione speciale anche perché da una decina d’anni vanta
a sue spese punte di instabilità da primato. Al di là delle sottigliezze da esperti di sistemi elettorali,
anche un bambino misurerebbe la novità ora introdotta dal “no” rispetto alla legge sostenuta dal
“sì”.
E’ sufficiente ribadire una differenza. Con la legge del “sì”, si sarebbe potuto cambiare il presidente
indicato dagli elettori, e la legislatura sarebbe andata avanti come niente fosse con un altro
presidente di palazzo. Con la legge del “no” nessuno potrà mai mandare a casa il presidente eletto:
se va a casa lui, vanno a casa tutti, e la legislatura muore prematuramente con lui.
Beninteso, la politica sarebbe materia da Walt Disney se bastasse un meccanismo elettorale per far
governare bene il ceto al potere. Tuttavia, tutto il mondo sta a dimostrare che gli strumenti elettorali
non sono mai neutri: nel bene o nel male, lasciano invece il segno.
Pur senza
l’efficienza
amministrativa di chi governa la Regione, destra o sinistra fa in tal caso lo stesso. Sul piano pratico,
un buon presidente sarà nelle intenzioni un po’ più governatore (della sua giunta) e un po’ meno
mediatore (dei partiti che lo sostengono). Il passetto avanti c’è e si vedrà.
Soprattutto Forza Italia ha fatto il Ponzio Pilato sul referendum attraverso la formula della libertà di
voto su una legge che era anche sua. Il paradosso nasconde un più acuto disagio se è vero che una
decina di giorni fa lo stesso coordinatore Ferruccio Saro ha denunciato – cito a memoria- due mesi
di “follia” del suo partito.
Forse sta qui l’unico elemento in qualche modo “nazionale” del referendum. Nel senso che
ribadisce tutte le difficoltà di Forza Italia a organizzarsi sul territorio quando esce dall’ombrello
protettivo di Berlusconi in prima persona.
Anche se premia in pieno il presidenzialismo regionale dell’on. Illy, non credo proprio che si possa
interpretare il “no” del referendum come una arbitraria profezia dell’esito del voto del 2003.
Piuttosto, la ricerca di leader da elezione diretta si farà da oggi assai più selettiva per tutti, a sinistra
e a destra, senza eccezioni. Più di ieri, un candidato debole farebbe franare anche una coalizione
forte.
A ragionarci sopra con freddezza, il referendum è stato tutt’altro che una formalità. Ne ha dette di
cose.

il “no” di domenica dovrebbe favorire

trionfalismo,

il minimo