2002 settembre 8 Società multietnica scommessa del Nordest

2002 settembre 8 – Società multietnica: scommessa del Nordest
Il buonismo all’italiana fa danni quanto l’egoismo, soprattutto quando si parla di immigrazione,
fenomeno storico che ha bisogno di razionalità e basta, meglio se in dosi da cavallo e a cominciare dal
Nordest. Siccome le nevrosi non si riposano mai, spesso prende piede la pratica contraria, e cioè un
bipolarismo emotivo culturalmente da prima elementare: da un lato il rifiuto, dall’altro l’inerzia; paura
da una parte, faciloneria dall’altra; agli opposti estremi, l’intolleranza latente faccia a faccia con la
disinvoltura multietnica, errore contro errore. Così stritolata in mezzo, l’immigrazione diventa una
maschera, un pretesto per tutt’altre faccende, un’ideologia da strapazzo in base alla quale anche la
realtà episodica si fa usare/abusare fino a deformare di volta in volta tutta una realtà già strutturale,
come dicono gli studiosi del ramo. Per fortuna l’immigrazione più viene circondata da slogan più tende
a spiegarsi con i fatti nudi e crudi, basti osservare il Nordest senza giaculatorie né allarmi. Mercoledì
scorso i contadini trentini hanno lanciato un ultimatum al ministero per le Politiche agricole, visto che
la raccolta della frutta è oramai questione di ore e non può più aspettare, nemmeno un giorno in più, i
previsti tremila lavoratori stagionali provenienti dalla Polonia. Varsavia va a rilento con i permessi di
ingresso e tutto un preziosissimo settore rischia danni enormi, considerato poi che Trentino-Alto
Adige/Sudtirolo e Veneto contavano su un totale di quasi settemila arrivi di stagione. Il Nordest
fotografa l’immigrazione con la chiarezza massima, attraverso un’offerta a trecentosessanta gradi, dagli
impieghi stagionali al tempo pieno, dal lavoro a tempo indeterminato alle tante flessibilità, dalla
manodopera ai diplomati. Dati alla mano, Unindustria di Padova dimostra anzi che nelle sue imprese
prevale nettamente il lavoro stabile, senza contare che l’ottanta per cento delle aziende con
extracomunitari nel 2001 aveva in preventivo nuove assunzioni per l’intero 2002. C’è il sommerso, un
po’ di nero, un po’ di clandestini; c’è l’incognita della casa; ci sono le difficoltà di lingua, religione,
habitat, valori comuni. Non per nulla, quattromila aziende artigiane di Belluno organizzano corsi di
integrazione mentre il patriarcato di Venezia apre una scuola di religioni comparate. (I quarantamila
guerrieri longobardi impiegarono due secoli, tra il Cinquecento e il Settecento, per integrarsi in Italia).
L’immigrazione è sempre e ovunque complicata, e la società multietnica fa il resto. L’accoglienza fa
appello alla società, l’inserimento all’economia, l’integrazione alla politica; ci vuole tanto di tutto. Le
prediche scambiano il pronto soccorso per la lunga degenza: l’immigrazione è invece una voce del
verbo fare. Fare le cose, farle per dominarle, questo il punto. È anche un fenomeno ad alta velocità,
sicché il Nordest, ad esempio, continua a svilupparsi sotto stress, a trazione anteriore. Rapidamente
dall’agricoltura al capitalismo dell’uomo qualunque; rapidamente dalla marginalità ai schei;
rapidamente dal dialetto di massa alle
identità plurali; rapidissimamente dall’emigrazione
all’immigrazione. Quasi uno choc da futuro. Per chi conservi un minimo di memoria storica, qui c’è
semmai da stupirsi che l’immigrazione non abbia creato problemi più grossi. Da Padova a Treviso ci
saranno le via Anelli di turno o il sagrato occupato del duomo, ma il fenomeno segnala in modo
crescente le opportunità, l’investimento, il realismo del fare, a partire dalla casa, sfida che da anni vede
in prima linea gli industriali di Vicenza e di Treviso. Sempre mercoledì scorso, Friuli-Venezia Giulia e
Veneto hanno firmato a Bucarest un accordo che nel suo genere è il primo in Italia. Nel solo settore
turistico-alberghiero, le due regioni cercano come il pane almeno diecimila addetti qualificati, su una
domanda complessiva di trentamila lavoratori. Bene: per superare legalmente il vincolo delle quote,
migliaia di rumeni verranno formati sul posto e destinati alle aziende nordestine nei settori tessile,
meccanico, agricolo, del turismo, dei servizi e dell’edilizia. Il Nordest delocalizza un sacco di imprese
all’estero e investe al Sud. Promuove formazione professionale all’estero per dare qui lavoro a gente
preparata. Contro tutti i pessimismi congiunturali, continua a scommettere sul lavoro e offre contratti

palesi, stabili, senza frontiere. Non molla il Nordest, se ho ben capito. Beninteso, non è privo di ombre,
di paure, di sospetti, di fatiche, di malintesi e di furbastri, ma sarei felice che qualche raffinato
piagnone mi svelasse cortesemente dove esista il luogo dei sogni a occhi aperti. Aspetterò invano,
temo.
8 settembre 2002