2002 settembre 1 Ciao, nobile amor mio

Ciao, nobile amor mio. Da un rassa Piave che sciacquò i panni nell’Olona…

Gianni Brera il Grande, pavese di san Zenone Po, fu l’Omero del grande fiume, Padus per i romani,
in onore del quale inventò la Padania letteraria, quale territorio dell’anima fluviale, di una proto
cultura europea e persino del suo ideale football di nerbo. Aveva il gusto delle origini, tanto da
ricercare le remote radici dei popoli come il senso arcaico delle parole: anche la vita sociale é in
fondo un interminabile fiume di significati e di relazioni in sequenza.
Un suo libro, pubblicato da Neri Pozza, inizia con questa riga e mezza:”Gli abitanti del Veneto sono
di gran lunga i più belli e aitanti fra gli italiani.” Alla pari, elencava i friulani, i ferraresi, i toscani.
Brera simpatizzava per il Veneto, la gens venetica delle sue colte cronache di calcio. Confessava di
tifare per Padova, gente,squadra e città, definendo Prato della Valle un luogo “inimmaginabile”.
Venezia era il massimo della nobiltà; Vicenza la piccola città soave; i trevigiani erano per lui la
razza Piave. Ad essere più precisi,intitolò il capitolo dedicato a Treviso così:”I trevisani (rassa-
Piave)”. Scovò negli archivi perfino un allenatore degli anni ’20, il tenente Pagnin, che diceva di
curare il vivaio perché “ i rassa-Piave no tradisse mai.”
Quando lavoravo a Milano, tra il 1963 e 1968, l’espressione “razza Piave” era di uso comune nelle
pagine sportive, e sempre in senso molto benevolo. Da Nervesa della Battaglia, ex Nervesa del
Montello, se l’era portata dietro come un utensile di casa soprattutto Giuseppe “Gipo” Viani, che
assieme a Nereo Rocco fu il gran tattico del calcio all’italiana e che diventò anche il manager per
eccellenza:l’”Ulisse dei rassa- Piave” lo battezzò non per nulla Brera.
I calciatori “rassa-Piave” straripavano allora dagli argini naturali, finendo con l’accorpare
nell’immaginario del pallone un’area caratteriale che poteva arrivare fin oltre il Tagliamento
friulano, addirittura all’Isonzo, quasi anticipando il Nordest di oggi! Come ha scritto Cesare Fiumi,
originario di Assisi, in un bel libro della Feltrinelli dedicato ai piccoli eroi dello sport, si diceva
razza-Piave per indicare il “fiume genesi di un’area-paese, di una cultura, di una prestanza.”
Un tenace mito popolare rivissuto in area di rigore come la polenta o il vino dei colli. Ancor oggi la
“rassa”del dialetto disarma alla radice la “razza” degli equivoci facendo sorridere l’acqua e i sassi
del Piave.
Mezzo secolo fa uno scrittore veronese ricordava che, durante la prima guerra mondiale, Treviso
era stata la “sentinella avanzata verso il Piave sacro.” E’ figlia di quella storia cruenta e di massa la
“rassa-Piave”, la stessa così stimata da Gianni Brera.
Lo sapeva benissimo Bruno Visentini, il professore e/o il gran borghese, spirito di inossidabile
cultura laica che aveva respirato in casa tanto l’amore per Treviso quanto l’avversione per il
fascismo. Nel dedicare a suo padre Gustavo il Catalogo di libri, opuscoli e documenti trevigiani
raccolti nella villa di Vascon, custodita oggi dalla figlia Olga , Visentini non poteva spiegarsi
meglio in proposito.
”Il Piave – scriveva il professore – diventa imponente nei momenti di piena e con il suo largo letto
dà il senso della forza. Per questo, oltre che per il carattere tenace e laborioso delle popolazioni
sulle due rive del fiume, e anche perché dopo la rotta di Caporetto, negli ultimi giorni dell’ottobre
1917,esso divenne la linea di difesa dell’esercito italiano, i trevigiani amano spesso chiamarsi ‘razza
Piave’”.
E’ un luogo dell’identità locale, che distingue anche tra le due sponde, Sinistra e Destra Piave. Qui
si differenziano i dialetti, come cantano le raccolte dei poeti della Sinistra e della Destra del fiume.
E’ un logo della memoria nazionale. Un cippo di appartenenza, il fiume trincea che rese idealmente
“razza Piave” tutti coloro che, da Caporetto a Vittorio Veneto, fecero la prima vera sanguinosa
unità d’Italia.“Tutti eroi al Piave o tutti accoppati”, scrisse un anonimo al fronte.
Storicamente parlando, Mario Isnenghi e Livio Vanzetto hanno sintetizzato alla perfezione quel
memorabile 1917, quando “entra in scena il Piave”, un fiume patriottico come scrivono in un
formidabile libro collettivo pubblicato due anni fa dalla casa editrice Cierre di Sommacampagna. In
un solo colpo la Piave (prima della guerra) o il Piave ( da allora in poi) diventò Patria, nazione,

famiglia, casa,figli, podere, simbolo,scudo,mito, suggestione di popolo,parametro del coraggio,
vittoria sul tradimento,ultima frontiera, il fiume dei veneti che si tramuta in fiume italiano.
“Di qua, di là dal Piave…”,come nelle parole in prima linea della canzone di E.A.Mario, e fino al
commovente libro-documento di Mario Bernardi. Contro ogni manipolazione, la “rassa Piave” stava
appunto tutta nella formula di Bruno Visentini: un fiume forte, la gente laboriosa, il 1917 di ferro.
Una miscela di campanilismo,secondo lo scrittore friulano Carlo Sgorlon. E tutte le Heimat, pensa
Joseph Zoderer, scrittore di lingua tedesca, sono patrie spirituali più che geografiche.
Ma c’è sempre stata anche una “rassa Piave” felix, per Giovanni Comisso. Un giorno,
passeggiando in riva, disse a Gian Antonio Cibotto che quello era il suo “Eden”.
Per i due scrittori, quel Piave ospitava la gioia di vivere, l’estate paesana,la vitalità dei giorni di
pace, il divertimento, la convivialità, i giovani in festa, le scampagnate, le angurie,l’uva, gli amori, i
proverbi.”Di settembre e di agosto, bevi il vino e lascia stare il mosto”.
Per me, il Piave è tante cose limpide. I racconti di mio papà, classe 1898, autiere di guerra sul 18
BL a gomme piene,dalla Bainsizza al Grappa. La mamma, di Mel; il suo Piave familiare, tra vigne e
boschi; i bagni di noi ragazzi di scuola nella grande ansa sicura, con in faccia i Monti del Sole. E’ la
Sinistra Piave, frammenti mai dispersi.
E’ tutto un mondo il mio Piave infantile; un ponte di Trichiana che mi dice molto. E, per i cinque
anni di liceo, le precarie sponde quotidiane tra Fagarè e Ponte di Piave, là dove si sarebbe ritirato lo
scrittore vicentino Goffredo Parise, in una bella villa color mattone.
E’ un’acqua interiore, quel po’ di acqua che ancora non hanno portato via al fiume. E’ la vita
semplice, il fiume dei detriti e dei nutrienti della comunità.
La mia “rassa Piave” suona tenera come una carezza materna.Scorre sui sassi del Piave come sulle
morbide vocali del dialetto ; porta lontani refoli di funghi, fieno e verderame. Compensa Internet e
gli oceani dello spaesamento.
Per tutto l’oro al mondo non la scambierei con qualcosa di diverso, ma il letto spazioso del Piave è
fatto apposta per allargare i pensieri. Razza dell’anima,affabile.