2002 ottobre 18 Baggio e Signori

2002 Ottobre 18 – Baggio e Signori

Finché c’è gol c’è speranza, finché ci sono gol al volo c’è allegria. Segnatevi per favore questi due
compleanni di febbraio: il 17 Giuseppe Signori, bergamasco, farà 35 anni mentre il 18 Roberto
Baggio, vicentino, ne fa 36. Please, bisognerebbe pronunciarli con l’accento inglese tanta è la classe
internazionale di questa coppia al crepuscolo che rifiuta il tramonto. Auguri vivissimi.
Baggio gioca come un principe a Brescia, città metalmeccanica fondata dai Galli, barbarotti di gran
temperamento. Beppe Signori ha il posto fisso di lavoro in area di rigore a Bologna, dove sanno
gustare i suoi gol come tortellini fatti in casa. Grandi calciatori entrambi, e continuano a fare grandi
cose nonostante la disattenzione che a volte li accompagna.
Ricordo una delle tante classifiche di merito che si stilano a metà campionato. Baggio e Signori
erano introvabili, sia tra i primi che tra gli ultimi della graduatoria, sia tra i protagonisti che tra i
deludenti. Stavano al limbo come capita immeritatamente a troppi giocatori italiani, soprattutto in
provincia.
Fa niente. Ho visto in diretta come hanno segnato. Signori, che è tutto mancino, ha battuto di collo
destro così preciso che il piede sembrava una racchetta da tennis. Baggio poi ha girato un cross
calante che gli arrivava alla cieca dalle retrovie: di spalle, deve aver sentito il pallone più che visto,
quasi per movenza telepatica. Questo suo piccolo affresco plebeo lo vedrei collocato bene alla
“Rotonda” di Vicenza, e scommetto che né Palladio né Scamozzi farebbero gli offesi per
l’accostamento.
Non so voi; ma negli ultimi tempi a me capita di rifugiarmi nel gesto individuale o nell’invenzione
anarchica. Del calcio italiano mi prende il frammento a sé, o il campione scontornato da tutto il
resto, oppure l’azione disossata dalla stessa squadra. Il contrario di ciò che mi succede ad esempio
ammirando il calcio inglese in tv: là è l’assieme che colpisce, lo stile collettivo, anche il contorno,
quello che dovrebbe trasformare la partita in festa.
Da telespettatori, in Italia viene invece voglia di concentrarsi sui Baggio e Signori di turno per un
paio di ragioni. Perché la qualità del gioco è ancora modesta. E perché il governo dell’Industria
Calcio non ha mai toccato un Pil (Prodotto interno lordo) così infimo.
Insomma, il solo bene-rifugio resta il gesto solitario con il gol in testa a tutto. Se ci togliessero
anche la vibrazione della rete, ci troveremmo presi in mezzo tra un campionato legnoso e la
bancarotta finanziaria. Così é.
Prendete il Milan, che vince, che è sempre in testa e che mette in campo una galleria di busti che
anche il Louvre gli invidierebbe. Silvio Berlusconi, che peraltro ne sa, lo considera più forte
addirittura del suo Milan degli anni d’oro, eppure non è la prima volta che lo squadrone presunto
tira via il risultato per i capelli.
Contro il Modena, ieri a San Siro, si è notata una sola differenza tra le due squadre: un calcio di
rigore per il Milan., tutto qua. Per il resto nessuno si è accorto che da una parte ci fosse Rui Costa e
dall’altra Scoponi, qui Redondo e là Marasco. Senza offesa, beninteso.
E’ un campionato qualitativamente discontinuo, che ora si accende e ora si siede. Forse la lunga
sosta non gli ha fatto granché bene, o forse i preparatori atletici adesso hanno in testa soltanto le
coppe europee e la primavera. Parola d’ordine per tutti: dosare gli sforzi e gli infortuni. (Ora è
toccato a Del Piero uscire zoppo).
Entro febbraio qualcosa si chiarirà. Non solo; il calcio dovrà decidere come uscire da un disastro
economico sintetizzabile in 4.000 miliardi di vecchie di lire in rosso. Siccome Club & Calciatori si
perdono in minuetti invece di firmare alla svelta un Patto di Austerità a effetto immediato, i
presidenti hanno cominciato in massa a non pagare gli stipendi.
Questo sarebbe il nuovo modello di concertazione inventato dalla Confindustria dei piedi, assieme a
un’altra idea geniale. Fare due serie A!
Già questa fatica a fabbricare spettacolo. Soltanto degli incoscienti possono immaginare due serie A
, che otterrebbero l’unico risultato di ridurre l’avanguardia del calcio italiano a una sterminata,
dopolavoristica B. Non avremmo due A, ma nessuna.