2002 ottobre 20 Basket NBA

2002 Ottobre 20 – Basket NBA

Forse non dovrei apparire su questo opuscolo. Da ragazzino tifavo Bartali, Fangio e Inter, in ordine
alfabetico, incarnazioni dei tre sport che amavo, ciclismo, automobilismo e calcio. Non appena
cominciai con il giornalismo, un direttore mi disse: ”Lei naturalmente sa anche di basket.” No, fu la
mia risposta, proprio no; tanta era la mia ignoranza sotto canestro che mi sarebbe stato impossibile
mentire.
Una sola volta, quando lavoravo alla redazione milanese di “Tuttosport”, mi capitò di dover fare la
cronaca di una partita di pallacanestro per sostituire due colleghi ammalati. Ricordo solo che
giocava l’Oransoda, ma non chiedetemi contro chi. Quella sera scoprii che esisteva il time out; per
il resto scrissi praticamente sotto dettatura di un amico che ne sapeva quanto Dan Peterson; di mio
non c’era neanche la firma, che il pudore mi consigliò di tralasciare.
Credo di aver capito il basket soltanto a Montreal nel 1976 e a Mosca nel 1980, due delle mie
quattro indimenticabili olimpiadi da inviato. A Montreal, per merito di un playmaker americano alto
più o meno come me, mi accorsi finalmente della spettacolare modernità di questo sport. Che favola
quegli Stati Uniti! E che meraviglia la Nba dei prof. (professori, intendo, oltre che professionisti)
che mio figlio Francesco mi insegnò poi a guardare su Canale 5: non so bene perché ma tifavo in
poltrona per i Lakers di Los Angeles, davvero Magic.
A Mosca seguii da vicino la Nazionale di Renato Villalta, trevigiano, elegantissima bandiera di
Mestre, e Dino Meneghin, pivot friulano nato in Veneto, che con i suoi due metri e cinque
centimetri per 104 chili di peso riusciva a sollevarsi come una ballerina classica. Che bravi. Con tre
milioni di praticanti, l’Urss fu terza in casa; l’Italia, con centomila tesserati, dei quali 15 mila a
Nordest, fu seconda, d’argento.
Mi tornano i ricordi in grande per meglio ricordare in piccolo. Ma con la stessa ammirazione che
via via s’impianta in testa attraverso ogni cosa bella della vita.
Il basket di Castelfranco compie 50 anni, e li dimostra, dai tempi della romantica Polisportiva fino
alla più specializzata Associazione. Pur dimostrandoli, perché ne ha fatta tanta di strada, porta bene
i suoi 50 anni: con dignità e orgoglio, in mezzo a noi popolo di incalliti pallonari.
Il basket fa bene a far festa grande, tanto per i successi quanto per le delusioni, come suggerisce la
migliore lezione morale dello sport. Soltanto così la serie B e la C2 conservano pari rispetto; e così i
tantissimi ragazzini del minibasket meritano lo stesso albo d’oro dei pochi che riuscirono a
emergere fino alla serie A, come i Borghetto, i Coldebella, i Milani o i Giorgio Pasetti.
Che tempi; dopo soli 50 anni sembra archiviato un secolo. Se penso ai primi vivai ripenso a figure
come Checchi Battiston, alle sue rabbie proverbiali e al suo doppio impegno: mentre indaga sulle
antiche origini della città sogna uno sport tutto rivolto alle nuovissime leve. La passione del passato
storico e, insieme, del futuro dei figli.
Credo di non fare torto a nessuno se rammento che i 50 anni del basket di Castelfranco sono anche
la biografia sportiva di Gianni Scapinello, classe 1926, ahimè juventino di ferro. Ha cominciato nel
dopoguerra, con i ragazzi del maestro Guido Tescari, e insiste ancora oggi, senza vantare né esibire
meriti. Anzi, recentemente mi ha raccontato con gratitudine che, senza il sostegno economico della
Castelgarden di Maurizio Ferrari, adesso il basket locale sarebbe “sparito”.
Ci mancava solo il Coni in bolletta! E’ sempre più costoso organizzare oggi sport, a tutti i livelli.
50 anni fa era tutt’altra faccenda. Nelle trasferte, venivano tolti perfino i sedili a una Balilla a
noleggio per farci stare anche otto persone al colpo. E, “quando andava bene” ricorda Scapinello,
per riempire lo stomaco c’erano al massimo i panini per premio-partita.
Tra le ragazze giocava anche Tina Anselmi, prima di andare a canestro a Montecitorio. Gianni
Fabrin, con i suoi due metri, era il solo negli anni cinquanta ad anticipare le stature del basket
moderno.
Con i suoi figli, Bepi Pasetti avrebbe potuto schierare quasi un quintetto. Quanti nomi, quante
storie, in squadra e in società, quanti episodi. I Bertòn, Franco Brusatin, il cuore di Bragagnolo che

cede allo stress da spettatore, la garanzia in banca di Bruno Girardello, chissà quante pagine di
questo opuscolo servirebbero per non scordare nulla e nessuno.
Ad occhio e croce, questa società ha sempre puntato secondo me a tre cose importanti. La prima:
fare volontariato e ancora volontariato. La seconda: far tornare i conti senza scippare nessuno. La
terza: dare mezzo secolo di sport ai ragazzi, da quelli del lontanissimo 1952 ai duecento di oggi.
E’ un piccolo grande bilancio anche civile, che merita un grazie da parte della città. E quando sento
Gianni Scapinello sussurrare che, a 77 anni, è ormai ora di andare in pensione, spero da sportivo e
da cittadino di Castelfranco che lui faccia soltanto cinema, come ha benissimo imparato
all’Hesperia.
Buon compleanno, gente del basket.