2002 dicembre 22 I Giovani

2002 dicembre 22 – I giovani

Le ragazze sognerebbero solo di diventare veline, i ragazzi tanti Pippo Baudo: questo il ritrattino
moralistico che circola sempre più spesso porta a porta, con il sottinteso che i giovani d’oggi
sarebbero zucche piene soltanto di televisione. Secondo me, i vetero predicatori non capiscono un
bel c. di figli e nipoti, che si dimostrano invece fin troppo bravi nell’affrontare un mondo senza
alcuna parentela con quello di padri e nonni.
Noi poveri in canna; loro benestanti: noi a cantare “se potessi avere mille lire al mese” e loro a
imparare a leggere l’abc della prima elementare partendo dalla lettera “s” di schèi. Noi allevati con
il latte dell’ideologia e dei valori forti; loro con paninoteche di pensiero debole. Noi a confessarci
dal prete per i peccati di spreco; loro inseguiti dalla pedofilia della pubblicità che li vuole
consumatori a tempo pieno.
Noi con la radio a sognare l’invisibile; loro con la tv a riconoscere solo il visibile. Noi localisti del
“tutto il mondo è paese”; loro globali di un mondo grande come un computer. Noi con ancora
addosso la colonna sonora dell’ultima guerra; loro con il più lungo periodo di non-guerra
conosciuto dall’Europa.
Il fatto è che si può apparire inquadrati in una società frugale più che in una opulenta. Avere a
disposizione fin dallo zainetto un sacco di roba pro-capite non significa affatto disporre anche del
benessere dei pensieri.
Per favore, non scherziamo. Dati oggettivi alla mano, gli studiosi più seri dimostrano che l’Europa
del Sud, cioè la nostra, è cambiata negli ultimi venti anni più che in qualunque altro periodo storico.
I nostri figli sono nati vedendo il mondo da un treno in corsa e noi pretendiamo una generazione
bella tranquilla, senza le stimmate dell’alta velocità del vivere.
Guardando alla realtà quotidiana senza ricette in testa, si vedono cose molto interessanti. Ad
esempio, in tutto il Nordest i giovani dimostrano di preferire le scuole professionali in percentuale
superiore al resto d’Italia.
Questa è una prova di pragmatismo: se la scuola in generale non avvicina abbastanza i ragazzi al
lavoro locale, ci hanno pensato loro in prima persona. Il quasi mezzo milione di imprese del
Nordest chiedeva un rifornimento costante di lavoro su misura, e i ragazzi si sono offerti alla
domanda, o no? E fortuna che non hanno dato retta alla sbornia di New Economy che li aveva
storditi un paio d’anni fa.
Politicamente, fanno oltretutto ingrato volontariato. Da un lato confessano infatti di avere sotto i
tacchi la stima verso l’intero ceto politico, ma dall’altro segnalano – vedi in Veneto – una maggiore
partecipazione politica rispetto alla media nazionale. Il che può voler dire soltanto una cosa: sono
riformisti naturali. Nonostante lo scetticismo nei leader, s’impegnano evidentemente non
disperando di trasformare la cosa, la politica.
Il Rapporto 2002 del Censis ha appena censito anche le paure dei ragazzi. Sono tre, nel seguente
ordine: I) sofferenza interiore 2) solitudine 3) incertezza sul futuro.
Si può essere preoccupati fin che si vuole, ma di sicuro tutt’altro che delusi da questa gerarchia
delle loro inquietudini. Dimostrano semmai profondità, bisogno di relazione, responsabilità
preventiva se così si può dire, in sostanza il contrario esatto di una generazione senz’anima.
Confessano fragilità del tutto coerenti con la carenza di riferimenti. E sono proprio gli adulti a
certificare dalla mattina alla sera una fase di smarrimento dei modelli, più introvabili oggi del sacro
Graal.
I sociologi ricordano che, negli anni Cinquanta, erano in gran voga le tre “M”: Marito/Moglie,
Mestiere, Macchina/Motoretta. Insomma, l’auto-realizzazione consisteva nel mettere su famiglia
seconda santa romana Chiesa, trovare un lavoro stabile e potersi muovere su gomma.
Oggi le tre “M” non sono affatto scomparse, ma risultano infinitamente più ballerine e variabili. Gli
economisti intimano ai ragazzi di prepararsi a cambiare lavoro cinque/dieci volte nella vita come se
niente fosse e di adattarsi a una mobilità di tipo americano. Vale a dire la flessibilità come destino

permanente di questa inedita “razza flessibile” di giovani dai 15 ai 32 anni, come la definisce il
prof. Ilvo Diamanti.
Non hanno più nulla di fisso, nemmeno il telefono. Il portatile è il nuovo angelo custode viaggiante,
mobile quanto la necessità di comunicare. Proprio il messaggio continuo dei ragazzi ha inventato
l’intimità di massa.
Per realismo, restano più a lungo in famiglia. Per solidarietà, stanno nelle infinite piazze del tempo,
in macchina, per strada, in stazione, al bar, in discoteca, nel cellulare, nel volontariato, che sono poi
i luoghi nei quali la categoria dei “giovani”, così impersonale e generica nei dibattiti, prende corpo,
voce e amore.
Una settimana fa Roberto Baggio, classe 1967, il più puro prodotto della scuola calcistica italiana,
ha segnato il trecentesimo gol della sua carriera. Appena deposto il pallone in rete, è volato a
braccia levate verso la bocca della telecamera e, sicuro di averla inquadrata, ha urlato: “Ti amo!”
sapendo che suo padre lo stava guardando da casa e che si aspettava un augurio per il compleanno.
Mai vista e televista al mondo un’icona tanto pedagogica e popolare del rapporto tra generazioni.
Forse non siamo messi così male come si cerca di far credere.
Sta peggio Tony Blair con i ragazzi inglesi. A scuola e in famiglia, parola del premier più moderno
d’Europa.