1996 maggio 31 I diktat di Bossi

1996 maggio 31 – I diktat di Bossi

I sindaci della Lega Nord sono stati i primi a dare corpo al «Movimento del Nordest»; sono i primi a
lasciarlo. Un’assurdità soltanto in apparenza. I sindaci leghisti del Nordest c’entrano poco o nulla con
questa fuoruscita. Il mandante è Umberto Bossi, suo l’ordine, sua la strategia. Bossi detesta l’idea stessa
di Nordest. Qui la Lega ha ottenuto il maggior numero di voti, qui li ha chiesti espellendo dalla campagna
elettorale ogni accenno al secessionismo; qui il voto leghista si è intrecciato con il «caso Nordest», frutto
maturo di una protesta non più patrimonio esclusivo della Lega. Il Nordest complica terribilmente la
«Repubblica del Nord» così come la immagina Bossi, compatta attorno all’egemonia lumbard,
plebiscitaria, fondata a prima vista su un Consiglio Federale ma in realtà al cento per cento in pugno al
suo leader. In questa fase, Bossi è pochissimo interessato al federalismo tra uguali, che rovesci la
piramide del potere – dal basso verso l’alto – a vantaggio dei Comuni e delle Regioni o macroregioni
prossime venture. Preferisce coltivare l’accentramento simmetrico dello scontro. Perciò il Nordest non
deve esistere. Se esistesse, significherebbe per Bossi riconoscere una originalità, una cultura, un’idea
molto più dinamica ma molto meno militarizzata della sua mitica Padania. Il Movimento dei Sindaci del
Nordest è dunque apparso a Bossi un pericolo fin dal primo istante, nonostante il battesimo leghista di
Oderzo, Treviso e Pordenone, con i Covre, Gentilini, Bonet, Pasini. Agli occhi di Bossi, il Movimento
ha una serie di vizi insopportabili. Mette al centro il Comune non la Repubblica del Nord,
l’amministrazione non la secessione, la politica non lo schieramento, la collaborazione tra sindaci di ogni
tendenza non la separatezza dettata a tavolino in base alla stessa, vecchia, decrepita logica delle segreterie
di partito nazionali. Per come è gerarchicamente governata la Lega Nord & Lumbard, capisco benissimo
l’imbarazzo e le difficoltà dei dirigenti leghisti del Nordest, in particolare veneti, quando spiegano
l’uscita dei loro sindaci con questa motivazione: «Il superattivismo del Centro-Sinistra ha fagocitato il
Movimento facendo emergere le persone più rappresentative del proprio cartello: Cacciari, Zanonato,
Illy, Fistarol». Il diktat di Bossi li spinge a un autolesionismo che non si sa se più ingenuo o più
arrendevole. Come se, dopo esserne stati i promotori, confessassero che il Movimento del Nordest ha
fatto selezione di ceto dirigente a loro svantaggio. Come se, nel confronto con i sindaci del Centro-
Sinistra, lo avessero perduto: giudizio sbagliato, che non rende giustizia alla straordinaria pressione
garantita dagli amministratori della Lega – soprattutto dei Comuni piccoli e medi – a vantaggio delle
riforme. Tutte, federaliste, fiscali, antiburocratiche, autonomiste, per un’idea del Nordest quale luogo di
massime identità ma anche di soluzioni per il caso-Italia. Il neo deputato Covre ha segnalato la sua
indipendenza, fedele al patto stipulato con i suoi elettori e con i sindaci. Sarà interessante, anzi decisivo,
verificare ora se il Nordest è una provincia lumbard o se quest’area aspira a guidare la grande rivoluzione
istituzionale del federalismo per tutti. Da Palermo a Bolzano.

31 maggio 1996