1995 ottobre 14 Se Fantozzi ci guarda

1995 ottobre 14 – Se Fantozzi ci guarda…

L’altra settimana a Palazzo Labia a Venezia ho moderato, si fa per dire, un incontro tra i quadri della
Confcommercio del Nordest e il ministro delle Finanze Augusto Fantozzi. Ero a disagio, sentivo che tra
il professore e i suoi interlocutori non transitava nulla. Nulla, tranne la cortesia come ammise lo stesso
ministro. Due entità distanti, da un lato il tributarista che dava lezione in cattedra, dall’altra il mondo
dell’economia frammentata, la bottega, l’ambulante, la gestione familiare, il negozio, l’azienda media, il
luogo del conflitto fiscale, della pazzia burocratica, della marginalità rispetto allo Stato dei ministeri. Si
toccava con mano l’inutilità dell’incontro quanto l’incomunicabilità di fondo tra lavoro e
amministrazione centrale, quella che fa dire ai suoi direttori generali e funzionari: «i ministri passano,
noi restiamo». A vita. Ero certo, e lo confessai, che il ministro Fantozzi del Nordest aveva sfiorato
soltanto la pelle, non raggiunto il tessuto. Ieri ne ho ricevuto conferma ufficiale dallo stesso titolare delle
Finanze con un articolo scritto di suo pugno per il «Corriere della Sera». Gli abitanti del Nordest non lo
sapevano, ma ora lo sanno: sono ammalati di «anomia», di «asimmetria comportamentale», di
«irrazionalità collettiva»! Parole di Fantozzi. L’anomia è un modo molto elegante per dare dei fuorilegge,
l’assenza di regole e di leggi. Sul «Corriere», il prof. Fantozzi non si dà pace e chiede: «Che cosa
effettivamente vogliono gli italiani residenti in questa zona geografica? Forse, neppure Vilfredo Pareto
sarebbe in grado di capire che cosa voglia il Nordest». Ora, siccome il grande economista ci ha purtroppo
lasciato da molti decenni, quel dubbio del ministro resterà per sempre senza risposta. Ma noi, in assenza
di Vilfredo Pareto, una certezza ce l’abbiamo: è il prof. Fantozzi a non aver capito cosa voglia il Nordest.
Su questo non ci piove. E pensare che la questione è abbastanza semplice. «Questa zona geografica» ha
fatto tanta strada, con le sue forze, con il suo lavoro, anche con i suoi amministratori. Il «modello»
economico, disseminato sul territorio, ha consentito senza troppi traumi il passaggio a tempo di record
dall’agricoltura all’industria al terziario. Non la pancia piena provoca la protesta. ma l’innovazione. Da
tempo, prima come un fiume carsico ora in superficie, il Nordest rivendica la cultura del riformismo, che
sta alle Istituzioni come la tecnologia alla produzione. Perciò si è creato nei fatti un singolare patto fra
sindaci e ceti produttivi, tra voglia di federalismo delle Regioni e domanda di efficienza del mondo del
lavoro. Tutto si tiene assieme. Ma, caro prof. Fantozzi, la protesta non ribolle «per» il Nordest; parte
«dal» Nordest, questo il punto. Il Nordest chiede di ristrutturare lo Stato a vantaggio di tutti, non del suo
fatturato; tenta di liberare i Comuni dai vincoli che infestano tutta Italia; lavora per Regioni o aree federali
che prendano su di sé poteri dello Stato e lascino per sempre ai Comuni compiti che oggi appesantiscono
di centralismo le stesse Regioni. Il presidente del Veneto firma 400 delibere alla settimana, quasi
ventimila all’anno, e altrettanti decreti! La gran parte di essi sarebbero atti da sindaci. Altro che Nordest
fuorilegge. Questa è la prima volta che a Nordest la protesta nasce istituzionale, amministrativa,
propositiva. Metafora d’Italia, non sua allergia.

14 ottobre 1995