1995 aprile 9 Sguardo impietoso sul modello Veneto

1995 aprile 9 Sguardo impietoso sul modello Veneto

Venerdì ho ascoltato la requisitoria del pubblico ministero Carlo Nordio contro Bernini & De
Michelis, conclusasi con la richiesta di condannare entrambi per corruzione. A quattro anni il primo
“ossequioso e soave” ma negatore di tutto; a un anno e dieci mesi il secondo “determinato e
aggressivo” ma ragionevolmente collaborativo. Gli aggettivi tra virgolette appartengono allo stesso
Pm.
Pur parlando cinque ore e passa, Nordio è stato asciutto come una canna di bambù. Né invettive né
teoremi né funambolismi. Solo fatti, atti, confessioni, riscontri, intercettazioni, un lavoro a incastro
che prova oltre ogni legittimo dubbio che cosa sia accaduto nel Veneto di cosa loro. Una ditta politica
a scopo di lucro.
La Procura di Venezia non funzionava come un pool alla milanese, però la requisitoria ne ha lasciato
emergere uno di ufficioso. Nordio ha evocato in aula Salvarani, Casson, Ugolini; senza questi quattro
magistrati, la Tangentopoli del Veneto non sarebbe emersa o avrebbe preso qualche scorciatoia. Ciò
va ricordato anche perché i quattro sono così diversi tra loro, culturalmente dissonanti, a
dimostrazione che il gioco al massacro sulle “toghe rosse” o bianche diventa un’esercitazione
postribolare quando la Legge, con i suoi rigori e le sue garanzia, resta ben salda al centro
dell’investigazione del processo e della sentenza.
La requisitoria dei Pm ha spogliato un Veneto da vergognarsi. Altro che “modello”: è anzi un secondo
miracolo che la sua economia sia riuscita a svilupparsi nonostante la manovra dei partiti, le ladrerie
degli apparati, l’a-moralità dei leader, “lo scempio del pubblico denaro”.
Noi contribuenti abbiamo pagato tutto: le correnti, i portaborse, le segreterie, i cosiddetti centri
culturali dc o psi, tutto, le auto, i telefonini, i pasti, tutto.
Insomma l’intero ammontare di quello che De Michelis definisce “il viver al di sopra dei nostri
mezzi”. Mezzi loro, soldi nostri.
Abbiamo pagato tutto e due volte. La prima con le tangenti, il 2, il 3, il 4 per cento sulle opere
pubbliche. La seconda con i fondi neri da procurare all’azienda per versare le tangenti.
Un milione in nero costa all’imprenditore almeno un milione e mezzo, a volte il doppio. Ovvio che
gli imprenditori scaricassero sia il costo della tangente sia quello del nero sul prezzo dell’opera
pubblica.
Una storia infinita che prevedeva anche il futuro: erano già state fissate al 4% le tangenti sull’Alta
Velocità prossima ventura, sulla Transpolesana, e via elencando. Noi ragionavamo sullo sviluppo,
sull’impatto ambientale, sui costi; loro lavoravano sulla percentuale.
La Regione era corrotta, l’Autostrada, il Ministero. Le imprese, le cooperative rosse.
Una grande firma di Tangentopoli, Zamorani, ha definito Casadei “la protesi di De Michelis”. Ma la
regione dei dorotei, il veneto bisagliano e doroteo, questo fungo ossequioso e soave è stato estirpato
o si sta replicando tenendosi ben stretta una burocrazia ancora intatta, mai indagata, tuttora affamata
di nuovi clienti?
Questa risposta non può giungere da una sentenza penale. O sarà politica o il passato ritornerà.