1994 ottobre 13 Presidente, non ascolti i falchi

1994 ottobre 13 Presidente, non ascolti i falchi

Quando una democrazia funziona, è vietato usare lo sciopero contro il voto. Se ciò accade, ci si trova
di fronte a uno sciopero politico: non mancano i precedenti, dal 1948 in poi.
Quello di domani è uno sciopero misto. Nato da una sincera preoccupazione sociale, nell’ultimissima
fase si è caricato di un crescente umore politico. Quasi che fosse più importante un referendum pro o
contro Berlusconi che ottenere una legga finanziaria tanto rigorosa (nei tagli) quanto equa (nei
sacrifici).
Nasce qui la paura. Di strumentalizzazioni, provocazioni, forzature, speculazioni. Da un lato per
umiliare ciò che è rimasto del movimento sindacale; dall’altro per inseguire, fuori tempo massimo e
contro le regole, una rivincita elettorale.
La transizione politica è tutt’ora in corso e porta con sé i frutti avvelenati. Ma proprio in questi
frangenti si misura il calibro dei ceti sociali e delle forze di governo.
Abbiamo ereditato dal passato un tale abisso di malgoverno che non possiamo permetterci il lusso di
buttare oggi al vento il patto di responsabilità verso il nostro Paese. Con una parola bruttissima, il
presidente di Confindustria Abete la chiama “concertazione”: in soldoni è la capacità di dominare le
fasi anche più tormentate della ricostruzione, di fare opposizione senza chiudere il dialogo, di
governare senza perdere mai il contatto con la parte più debole e più esposta della società.
Non è che lavoratori e pensionati siano incapaci di capire in quali guai ci siamo cacciati e quanti
sacrifici siano necessari per uscirne. Il fatto è che anni e anni di sprechi, di inefficienza e di corruzione,
hanno reso drammaticamente visibile l’ingiustizia di fondo: e cioè che a pagare sia soprattutto chi ha
sempre tirato la carretta.
Il presidente Berlusconi non si lasci depistare da falchi e falchetti. La sua finanziaria ha convinto
anche gli osservatori stranieri; faccia in Parlamento il massimo sforzo per convincere, non tanto le
piazze di domani, quanto il popolo dei tartassati di sempre.