1994 luglio 25 Opportunità e stile

1994 luglio 25 – Opportunità e stile

Né la Costituzione né il Codice impedivano a Silvio Berlusconi di mettersi in politica. Era del tutto
arbitrario chiedergli di rinunciare a un diritto. A maggior ragione, si sarebbe dovuto imporre doveri
di opportunità e di stile al momento di assumere incarichi di governo. In particolare, di Presidente del
Consiglio.
L’opportunità gli suggeriva di evitare il pasticcio tra i suoi interessi e quelli della collettività visto che
nessuno pretendeva da lui l’eroismo di porli in conflitto e di optare senza esitazione per i secondi. Gli
conveniva insomma rimuovere alla radice il dilemma: sia del conflitto che della confusione tra
interessi.
Lo stile gli consigliava poi di selezionare uomini di Forza Italia e soprattutto di governo, il più lontano
possibile dalle sue aziende. Anche perché la Fininvest, oltre a tante altre cose, fabbrica notizie,
informazione, opinioni, un nugolo di interferenze molto visibili agli occhi dell’opinione pubblica.
In campagna elettorale Berlusconi evitò qualsiasi impegno in proposito. Invocò un atto di fiducia a
scatola chiusa: “Fidatevi di me”, fu il messaggio, aggiungendo che avrebbero parlato per lui i “fatti”.
Un italiano su quattro fecero la scommessa, non avendo altro su cui puntare con convinzione in quel
momento. Né una sinistra nuova di zecca, né una alternativa di centro. Si fidò e attese che Berlusconi
dimostrasse sul campo di ripudiare la Fininvest e di sposare il Paese. Attesa vana. Né l’opportunità
né lo stile hanno fatto breccia.
Nella scelta degli uomini, il suo governo risulta oggi il più “aziendalista” del mondo occidentale.
Quanto agli atti da Presidente del Consiglio, fino ad ora hanno privilegiato interessi molto contigui a
quelli da Cavaliere di Arcore. Vedi la Rai, vedi il decreto-Biondi, vedi la sfacciata preferenza
accordata alle esternazioni di governo attraverso le reti Fininvest, vedi una serie di nomine di
sottogoverno, vedi l’ossessionante tentativo di piazzare manager della pubblicità (privata) in posti
strategici della comunicazione (pubblica).
Quello che sembrava a tanti osservatori superficiali lo strapotere di Berlusconi, rappresentava in realtà
il suo tallone d’Achille. A segnalarlo, nel mondo confindustriale, fu particolarmente Pietro Marzotto,
l’unico a non usare toni ambigui o diplomatici su un tema cruciale tanto per il buon capitalismo quanto
per la buona democrazia.
Berlusconi sa benissimo che fu lo stesso garante per l’editoria – persona fin troppo timorata e prudente
– a chiedere che le Fiamme Gialle indagassero sulla Fininvest, sospettata di trucchi societari per
evitare l’accusa di contrattazione editoriale. Non commetta anche l’errore di attribuire ora a Di Pietro
propositi di vendetta per il decreto-Biondi.
Sarebbe l’ultimo di una catena di errori, il più fallimentare. Il Presidente del Consiglio è ancora Sua
Emittenza e non ha fatto nulla per chiamarsi fuori o dall’uno o dall’altro dei ruoli.
Ferrara, Letta, Previti, Tajani, Fede, Liguori…non gli e lo diranno mai. Ma è così.