1993 Ottobre 3 Il migliore dell’anno

1993 Ottobre 3 – Il migliore dell’anno

“Non si possono fare interviste cattive, né inchieste spietate. Bisogna leccare i culi, compiacere le
masse. Nel nome dell’audience, non irritiamo nessuno. Sicuramente non il sindaco, il presidente, il
governatore, il senatore, chiunque abbia un minimo di potere. Facciamo piaceri, non facciamo notizia.
Dovremmo tutti vergognarci di aver lasciato scendere così in basso la nostra professione, le nostre
vite di lavoro, i nostri principi”.
Lo ha detto, al congresso dei giornalisti televisivi di Miami, Dan Rather. Il numero uno tra i conduttori
delle catene Tv americane.
Frantumare il conformismo, guardarsi allo specchio senza la cipria dei privilegi, continuare a costruire
pur sapendo benissimo che l’ultima pietra sarà l’unica a non essere mai posata. Perché niente si può
dire concluso, stabile, definitivo.
Dan Rather parla di telegiornali Usa. Noi pensiamo ai nostri, e ai nostri giornali. Un’informazione
che la sua audience andava a cercarla proprio dentro il Palazzo; giornalisti vittime e insieme complici
della democrazia “bloccata”, priva di alternative che non fossero quella del salto nel buio. Anzi, nel
peggio.
Se alibi era, non esiste più da tempo, da anni. Finita da un pezzo la grande recita, chi continua a fare
“piaceri” a scapito della “notizia” se la deve prendere soltanto con sé stesso: con la propria mediocrità
professionale o viltà personale.
La regola vale per tutti. Prendiamo Scalfaro. Non ci piace per nulla quando abusa in retorica e in
enfasi, quando il tono prevaricatorio prevale sulla sostanza delle cose, quando anche lui sembra
sacrificare la “notizia” (destinata ai cittadini) ai “piaceri” (riservati ai centri di potere).
Ma riprende in pieno il ruolo di capo dello Stato se va dritto al cuore dei problemi; se abbandona la
Bisanzio romana per ristabilire il contatto con l’elettore, il contribuente, l’uomo della strada. Oggi il
senso dello Stato è dinamico o non serve. Puntando a rinnovare lo Stato in profondità, finirà con il
salvarlo; in caso contrario lo consegnerà per sempre alla legge degli interessi. Come accaduto con la
partitocrazia.
Si obbietta che Scalfaro avrebbe potuto dire le stesse cose in un messaggio alle Camere invece di
esternarle come nelle abitudini del suo predecessore Cossiga. Si racconta che sia stato egli stesso
preso in contropiede dai giornalisti, i quali avrebbero violato la riservatezza di un incontro senza
protocollo alla residenza di Castelporziano.
Il nostro pensiero è questo: non ce ne frega niente, né delle formalità né dei convenevoli. Oggi
conviene andare al sodo, alle cose che contano. Sono tempi da nero su bianco, non da bella calligrafia.
Può dispiacere, ma è così.
Vale solo quanto detto da Scalfaro, e la sua durezza. Lo scandalo di quel De Lorenzo lasciato dal
Parlamento a piede libero. La promessa che si andrà a votare prestissimo per non tradire spirito e
lettera del referendum del 18 aprile. L’orrore per la corruzione di uomini che, nella magistratura o
nella sanità, hanno prima rubato e poi indotto alla menzogna anche mogli e familiari.
Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura ed ex-magistrato, Scalfaro ha così inquadrato
il caso del giudice Curtò: “Sono convinto che è soltanto l’assaggio del formaggio. Credo che se
andassimo a veder bene, questa degenerazione sarebbe di una estensione sterminata”. Per quante
settimane le oche del Campidoglio avrebbero schiamazzato se a pronunciare lo stesso giudizio fosse
stato un Bossi?
La verità è che nessuno può sbarazzarsi dei problemi sul tappeto soltanto perché accompagnati dalle
visioni di Miglio o dai barriti di Bossi. Gli elettori continueranno a perdonare alla Lega anche
convulsioni e raptus finché rappresenterà l’unica forza che promette di intaccare la struttura stessa di
questo Stato e di questo ceto politico.

Prendiamo il federalismo. Alla loro Settimana sociale, lo riscoprono anche i cattolici per “uscire dal
centralismo”. Il presidente dell’Iri, Romano Prodi, spiega senza mezzi termini che il modello tedesco
sarebbe la manna dal cielo nel nome dell’autonomia e del solidarismo.
Prendiamo la protesta fiscale. Sotto forme diverse, la disobbedienza sta dilagando e tentando
categorie sempre più estese. Bossi non c’entra nulla; il fatto è che si lacera ogni giorno di più il tessuto
sociale. Nessuno si sente rappresentato.
A Cossiga imputarono di mettere il Quirinale al servizio dello sfascio quando l’ex-presidente si
conquistò invece il merito storico di accelerare la crisi del regime. E’ una fortuna che con il “chiodo”
del voto popolare, Scalfaro sottragga ora il Quirinale all’abbraccio mortale dei tanti Gerardo Bianco.
Nessuno, tantomeno il capo dello Stato, può permettersi il lusso e l’errore di lasciare a Bossi il
monopolio del cambiamento dopo quello della protesta.