1993 maggio 26 Fine dell’insabbiamento
1993 maggio 26 – Fine dell’insabbiamento
Un anno fa azzardammo una previsione: cinquemila inquisiti per tangenti. Stiamo arrivando a
duemila e le inchieste non si fermeranno un solo istante almeno per tutto il 1993.
Gli strumenti sono quelli dello stato di diritto, fondato anche sull’obbligatorietà dell’azione penale;
l’effetto è quello di un’epurazione politica. Ma non potrebbe essere altrimenti vista la saldatura fra
potere e illegalità.
Nessuna democrazia si è mai trovata nelle condizioni di dover processare un quarto di Parlamento e
i tre leader di governo dominante nel sistema dei partiti degli anni ’80. Tre presidenti del Consiglio:
Andreotti indagato per collusione di stampo mafioso; Craxi per corruzione della vita pubblica; ora
De Mita per concussione del terremoto. Come dire che le più laide ipotesi di reato pendono sul potere
esecutivo della prima Repubblica.
Mani Pulite ha anche un effetto retroattivo, nel senso che fa riemergere dal passato inchieste a lungo
insabbiate. Come lo scandalo d’Irpinia, che soltanto la tenacia di un artigiano padovano – Gianfranco
Finco di Cadoneghe – ha continuato a denunciare in questi anni e in tutte le sedi. Dalle Procure al
Quirinale, senza contare le prime pagine del nostro giornale.
Non si salva più nulla, perché tutto era stato intaccato. Da questo punto di vista è legittimo continuare
a parlare di “regime” e pretendere la svolta che ogni caduta di regime comporta.
Dopo il fascismo, nessuno pianse su un ceto politico tutto da inventare, sui partiti nuovi di zecca, su
Istituzioni senza parentela con il passato, sulle incognite di un futuro di libertà ma senza connotati
precisi. Se così fu in condizioni tragiche, non si vede perché la crisi attuale debba gettare nello
sconforto un Paese che ha tuttora un potenziale umano ed economico migliore di quanto dicano i
soliti indicatori finanziari.
Un sacco di timorato, di mummie o di furbacchioni non vuol sentir parlare di seconda Repubblica,
avvinghiati come sono all’illusione del “continuismo”. Al contrario, va conservata ed anzi esaltata la
garanzia della democrazia proprio attraverso la discontinuità. Un investimento, non un’avventura.
Ad ascoltare le cassandre della partitocrazia, sarebbero insostituibili persino i portaborse. Niente
paura: se quelli erano i campioni del pragmatismo e i “collettori” di ogni progetto, ne faremo tutti
volentieri a meno.