1988 Non più soli

1988 — — – Non più soli

Una vendetta o una minaccia? Non è importante distinguere, anche perché si tratta probabilmente di
una gelida miscela di entrambe. Conta soltanto capire fino in fondo ciò che la mafia vuol ribadire: e
cioè che il potere mafioso può tutto, quando vuole, contro chi vuole.
Il Presidente Cossiga lo ha definito «un gravissimo segnale». No, è molto di più, la prova del nove,
l’ennesima prova che l’anti-Stato non si pone limiti nell’intimidire lo Stato.
Non è vero che la mafia uccide di più perché si sente più minacciata. Al contrario, seleziona le vittime
e tanto più vi si accanisce quanto più le ritiene dei simboli.
Da Carlo Alberto Dalla Chiesa al giudice Antonino Saetta non è tragicamente cambiato nulla. Da Sica
a Falcone non muta una virgola: sono tutti nel mirino perché rappresentano le punte più avanzate del
tentativo di colpire in alto, di stanare non la piccola mafia dei regolamenti di conti ma la grande mafia
delle collusioni con i poteri istituzionali e dei collegamenti.
Ha scritto lo studioso Raimondo Catanzaro: «La mafia è diventata pervasivamente parte del sistema
economico del sistema finanziario e del sistema politico». Sono 164 le schede, ancora segrete, della
commissione anti-mafia che riguardano esponenti del mondo della politica e degli affari. È questa
mafia che contribuisce in misura determinante al colossale reddito proveniente dalle attività illecite,
calcolato nel cinque per cento del prodotto nazionale lordo.
Non c’è soltanto il sangue, per quanto selvaggiamente usato. Mafia dice corruzione, droga,
inquinamento sistematico della vita civile, senza nemmeno più la primitiva convenzione dell’onore.
Anche la mafia si è scolarizzata, vale per _______ scrupoli non ne può avere. Tantomeno umanitari.
Mafia, camorra, ‘ndrangheta: esiste un’altra Italia. Un’Italia che i suoi record li conta a decine di morti
al mese; un’Italia, come in Calabria, dove i sequestri vengono organizzati durante le battute delle forze
dell’ordine; un’Italia dove nessuno si sente al sicuro, men che meno in carcere. Un’Italia che ai suoi
servitori può garantire al massimo una vita blindata o con scorta. Un’Italia che espande il suo giro
d’affari malavitoso senza che, da dieci anni a questa parte, si riesca a mettere in moto una vera
mobilitazione.
Il capo dello Stato richiama a una «intransigente e solidale determinazione»; il ministro della Giustizia
chiede una «compattezza senza incrinature». Non basta. Bisogna che questa diventi la prima frontiera
dello Stato 365 giorni all’anno, non l’angoscia dell’ultimo omicidio della serie infinita. Bisogna che
questo Stato si faccia perdonare con i fatti le fatiche di Dalla Chiesa per ottenere più appoggi, la
reticenza nel mostrare in pubblico nomi e cognomi del potere eccellente, la disperazione di magistrati
richiamati alle liturgie burocratiche contro la più organizzata delle sfide, lo smarrimento di chi lavora in
trincea dalla mattina alla sera senza sentire addosso il tifo dell’intero Paese, oramai abituato a
consumare tutto, anche i suoi orrori.
Ma ci rendiamo conto che li stanno facendo fuori tutti, uno dietro l’altro, e che un’intera generazione di
uomini dello Stato si vede costretta a vivere in bunker mentre a Roma, nel cuore delle istituzioni, anche
la mafia è oggetto di «dibattito», polemiche e divisioni? Non si potrà mai fare decentemente appello al
coraggio individuale e alla bonifica civile finché la criminalità riuscirà a ___________

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