1987 settembre 27 I ragazzi del Golfo

1987 settembre 27 – I ragazzi del Golfo
Anche gli Usa nel coordinamento tecnico
Con gli alleati ma autonomi
Il Golfo ha fatto di colpo tornare di moda le corrispondenze di sapore coloniale. Sull’«Unità» si legge:
«Almeno 300 ragazzi in Lacoste, jeans, scarpette da jogging e capelli corti circolavano l’altra notte per
i vicoli di Gibuti, sfiorando ronde e jeep della Legione Straniera». Una voce, aggiunge «Repubblica»,
gridava in italiano: «Tutti al Mocambo».
Domani le tre fregate italiane salperanno dirette in Oman, per raggiungere a 1.300 miglia la zona delle
operazioni. Negli stessi giorni, nelle stesse ore, altri ragazzi con le stesse magliette e gli stessi jeans
protestano qua e là in Italia, escono qualche ora di scuola, scioperano. Dicono di «scioperare per il
Golfo».
Noi abbiamo sempre preferito i ragazzi che se la prendono per una causa, anche sbagliata,a gli
indifferenti o a quanti immaginano che il più bel filosofo del nostro tempo sia Timberland,
preferibilmente con gambali. Ogni generazione ha avuto almeno una buona ragione politica per
scioperare a scuola, e se non ce l’aveva se l’inventava. Il punto non è questo, anche perché il mondo ha
più che mai bisogno di giovani che sappiano urlare la parola pace per meglio amarla.
Noi stessi saremmo molto più tranquilli con la coscienza se le nostri navi, persino quelle da guerra,
venissero utilizzate per aggredire le piaghe del mondo. Come la siccità dell’Etiopia che in questo esatto
momento si sta annunciando catastrofica in otto delle quattordici province e che, senza un immediato
intervento internazionale, priverà sei milioni di persone di acqua, di cereali, di vita. Qui davvero
potremmo porre con la solidarietà, la tecnologia, gli investimenti dell’uomo contro la natura le basi di
una filosofia rivoluzionaria nello sviluppo del mondo.
Ma tutto ciò nulla toglie agli obblighi cui è chiamato un Paese di fronte a questioni senza via d’uscita.
Le acque internazionali sono il diritto calato in mare; la libertà di navigazione finisce dove comincia la
pirateria.
Sulle acque del Golfo transita il 40% dei rifornimenti d’energia all’Europa. In quelle acque stanno
dirigendosi unità italiane alle quali il Governo ha ordinato di «proteggere solo naviglio battente
bandiera italiana». E si tratta di naviglio mercantile, da trasporto, disarmato, attaccabile, anche con una
fionda.
I «ragazzi del Golfo», che scioperano a scuola contro le tre fregate, hanno ragione quando denunciano
la pericolosità di quelle rotte. Hanno torto quando – cancellando la storia e la geografia dalle materie
obbligatorie – s’illudono che in mondo sempre più piccolo si possa difendere il proprio Paese soltanto
dietro l’uscio di casa e che la pace equivalga alla fuga da ogni responsabilità.
Gli Usa hanno in zona una flotta potente; anche i francesi. Rispondendo all’attacco a una loro
petroliera, gli inglesi hanno rafforzato la Royal Navy e chiuso a Londra la centrale d’acquisto di armi
dell’Iran. Quella dell’Italia è la presenza più prudente, difensiva, moderata, come se battesse per
procura la pallida bandiera dell’Onu.
Non siamo noi i Signori della Guerra; anzi, siamo in genere fin troppo signori.

settembre 1987