1987 marzo 6 Forlani, uno strano destino

1987 marzo 06 – Forlani, uno strano destino

«Il dc più laico», un uomo tranquillo che afferma: «i momenti più belli si passano in casa o fuori della
politica». Alle prese con il terrorismo e con la crisi economica, lo accusarono di essere «troppo inerte»,
di non amare abbastanza la sua poltrona di Palazzo Chigi. Giusto due anni fa scriveva su un quotidiano:
«Certo, conta anche la Presidenza del Consiglio, ma vale soprattutto trovare la strada più giusta per un
disegno democratico coerente».

Arnaldo Foriani, il marchigiano, è sempre stato un uomo-squadra più che un uomo-gol dai tempi in cui
giocava mezzala nella Vis Pesaro. Quando ricorda il calcio non si capisce se alluda alla politica, e
viceversa. «Ogni giocatore – dice – desidera segnare, ma spesso si è costretti a ruoli di copertura, di
manovra, di collegamento».

Non ha fatto altro durante i 1300 giorni del Governo Craxi, ma nessuno sarebbe riuscito a farlo meglio
di lui, specialmente a centrocampo, tra Psi e Dc o meglio tra Craxi e De Mita. Lo hanno chiamato «il
pompiere» della stabilità per aver spento, persino più spesso di quanto non si sappia, gli incendi di un
pentapartito che invece di insistere sui risultati litigava sulla loro possibile rendita pre-elettorale.

Arnaldo Forlani ha l’età, 62 anni; è un politico leale, che propose l’abolizione del voto segreto nel
Parlamento e nei Consigli Regionali; ha affinato nella mediazione il senso della sintesi di un governo di
coalizione; è già vice-presidente del Consiglio eppure, con tutta la ritrosia di cui lo si accredita, non
deve mai essersi sentito tanto imbarazzato come dall’altra sera quando i socialisti lo hanno candidato,
sia pure assieme a De Mita, alla successione di Craxi. Perché, sarà vero che non è uomo da farsi
divorare dalle ambizioni; sarà anche vero che, quale presidente della Dc, nutre il «desiderio» di
dedicarsi a tempo pieno al partito; sarà altrettanto vero che non può rischiare, in un momento di
sottilissime lame, di sconcertare mezzi democristiani con un bel sì alla «provocazione» craxiana, ma c’è
un limite alla riservatezza e al gioco di squadra.

Anche se non lo confesserà mai, Forlani deve avere almeno per un attimo pensato che, forse, a Cossiga
servirebbe proprio un sedativo di legislatura e che, se è pur giusto che i leaders di partito non occupino
per intero le istituzioni, può accadere che le istituzioni richiedano a volte la priorità sui ruoli di partito.
Comunque vada a finire, la crisi ha già consumato con lui un paradosso all’italiana.

marzo 1987