1987 marzo 31 Quale riformismo

1987 marzo 31 – Quale riformismo
«Spetta a noi – sostiene Craxi da qualche anno – il difficilissimo compito di governare il
cambiamento». Osserva oggi Formica: «Questo congresso sarà gonfio di attualità e carico di storia».
L’attualità della crisi di governo e la storia dei socialisti nell’Italia degli anni ’90 fanno
dell’appuntamento di Rimini un momento critico, di passaggio.
L’immagine di Craxi quale «duce» dei socialisti è la brillante caricatura, stivali mussoliniani e garofano
d’ordinanza, di un leader fuori discussione nel partito. Ma il problema del Psi è tutt’altro che personale
anche se in chiave personalistica fu letta persino la sua proposta istituzionale di far eleggere il Capo
dello Stato direttamente dai cittadini.
La sfida dei socialisti è il riformismo, ma quale riformismo se oggi anche i comunisti usano termini
fino a ieri eretici quale «sviluppo» e sponsorizzano istanze europee fino all’altro ieri strenuamente
avversate? Il riformismo che decreti la morte ufficiale, non più presunta, delle ideologie, dunque la
capacità di «governare il cambiamento» senza ritardi e oltre la burocratizzazione («Il massimo
disordine sociale – ha scritto Giorgio Ruffolo – è la burocrazia»).
Il vecchio massimalismo appare un ferro vecchio della storia, ed è sempre stata anche una lezione
liberale la concretezza del «governo delle cose», come la chiamava Einaudi. Ma esiste una questione di
fondo che i socialisti non possono dribblare: essere pragmatici, efficienti, manageriali, post-industriali,
post-tutto, non esime dalla visione etica dell’impegno pubblico, della politica, della stessa economia.
Già nel 1911 il padre del riformismo Filippo Turati raccomandava: «Il nostro socialismo non può non
sostenere le tesi del vecchio marxismo». Mai come da Craxi in poi, il tema risulta ampiamente superato
e ora la modernizzazione del Psi pone all’ordine del giorno l’esigenza di un maggior rigore. Tasto
delicato che non riguarda soltanto i socialisti ma che non sempre il neo-riformismo ha collegato alla
gestione del potere: se è vero che il Psi vuole cambiare «le regole della politica», non può che misurare
qui la sua ambizione di ampliare il consenso oltre l’11/12 per cento di oggi.
Il congresso di Rimini rappresenta anche il grande meeting pre-elettorale di un partito che, pur
affermando come la Dc di non volere il voto anticipato, ha finora fatto come la Dc poco o nulla per
evitarlo. Al di là delle suggestioni, delle cosiddette «emozioni» o dell’«effetto» personale, la sfida non
si presenta facile non fosse altro che per due fatti nuovi: l’incarico alla Iotti e la rimozione dei
referendum legata all’incombente scioglimento delle Camere.
Ha scritto l’Unità: «Si apre la possibilità di una fase nuova della politica italiana». Ha aggiunto
Rinascita: «E’ oramai impresentabile qualsiasi discriminazione» verso i comunisti. Come dire la crisi
Dc-Psi ha finito con il rendere più precario il ruolo aggregante dei socialisti a sinistra senza contare che
la questione nucleare, irrisolta o aggiornata con un colpo di spugna sui referendum, potrà favorire i
Verdi. L’Europa insegna che i Verdi raccolgono consensi soprattutto in area socialista.
A Rimini i socialisti lavorano per un risultato e per una prospettiva. Si giocano molto, quasi tutto; di
sola «centralità» non si vive.

marzo 1987