1985 settembre 19 Tortora fra giudici e partiti

1985 settembre 19 – Tortora fra giudici e partiti
Dopo un durissimo lavoro investigativo, istruttorio e dibattito mentale, il tribunale di Napoli ha inferto
a quasi 140 imputati più di sette secoli di carcere per reati di stampo camorristico, ma l’attenzione si è
tutta concentrata sui dieci anni inflitti a Tortora. Da che mondo è mondo, e soprattutto nel mondo delle
immagini e della popolarità di massa, fa notizia il personaggio più del problema. La cronaca tende
sempre più a far prevalere l’individuo sulla situazione.
Che il maxi-processo sia stato ridotto al rango di un fatto pressoché personale di Tortora non deve
dunque stupire. Ciò che lascia laicamente raggelati è la dogmatica, fideistica, acritica repulsione con la
quale è stata accolta la condanna di Tortora. La quale, come ogni sentenza umana, non è un giudizio di
Dio ma una difficile approssimazione degli uomini, per definizione riformabile in appello e oltre.
«Sfida alle fondamentali regole della civiltà» l’ha definita il radicale Giovanni Negri. «Ha vinto la
camorra» è stato il commento di Marco Pannella. Per i socialisti Claudio Martelli e Giacomo Mancini
si è trattato rispettivamente di «un’ingiustizia» e di «una sentenza terrificante». O «inquietante»
secondo la segreteria liberale.
Nel meccanismo perverso e insieme banale dei colpevolisti e degli innocentisti, il giudice non è tale di
per sé: la sua dignità risulta legata esclusivamente al dispositivo della sentenza e alla aderenza o meno
a una tesi di parte. La funzione del giudice assume per costoro il significato astratto di strumento buono
ad avallare una emozione o una politica. Tutto qua.
In democrazia ogni atto pubblico, comprese le sentenze dei magistrati, deve poter essere censurato. Ma
c’è un abisso di tono e di sostanza tra il dissenso e la criminalizzazione: il primo serve ad una sempre
più matura gestione della giustizia; la seconda fa crescere la dissociazione tra il cittadino e il più
delicato dei poteri dello Stato, quello di inquisire e giudicare il cittadino.
È singolare che, mentre si lamentano i guasti della politicizzazione della giustizia, si punti a
politicizzare Tortora dentro e fuori il processo. È strano che anche chi si batte da anni per sacrosante
battaglie sui diritti civili, la fame, le carceri, l’ambiente non rispetti la garantista cautela di attendere la
motivazione della sentenza. È deprecabile che, nel momento in cui tutti sono d’accordo che le
istituzioni vanno riformate, la Repubblica dei Partiti voglia occupare perfino il potere giudiziario.
Tortora può essere innocente o colpevole; il caso-Tortora è soltanto colpevole.
settembre 1985