1983 Febbraio 14 Non cambio la squadra mondiale dopo tre pareggi

1983 Febbraio 14 – Non cambio la squadra mondiale dopo tre pareggi

Sabato sera, con la sveglia già pronta per Beirut, ho cenato con Enzo Bearzot, deluso dal pareggio e
maltrattato da un raffreddore di quelli giusti. Bere non beve, perché è un raro esemplare di friulano
astemio. Invece ha fatto il bis con la torta, nella speranza di ingrassare: divora dolci perché si sente
troppo magro, dice che così asciutto ha le reni poco protette: perciò cerca cinque chili in più. Il ct è
tutto sommato un ingenuo o finge di non sapere che a metterlo in carne basterebbero i gol di Paolo
Rossi, come a Barcellona o a Madrid, altro che gli strudel e i bignè con la panna. La vita è una
burla per davvero, non ti da il tempo di godere qualcosa che subito ti turba con il timore di perderla.
Accadde anche con il Mundial 1982.
A Vigo sembrava vietato all’Italia; a Cipro sembra un fossile lontano ormai qualche strato
geologico. In mezzo, una breve parentesi di euforia, un gas esilerante via via dissoltosi dalla
Svizzera alla Cecoslovacchia, dalla Romania a Cipro. La nazionale non vince più.
Allora, se più non vince occorre cambiare, il concetto che dondola nell’aria è questo. Sono in molti
a pensare che i campeones, dopo laudi oro incenso e mirra, vadano rimessi in discussione e ,in
qualche caso, depennati. La risposta di Bearzot è perentoria:
“Sarebbe da pazzo – ha detto – cambiare una squadra mondiale dopo tre pareggi! Non credo si
possa far meglio chiamando improvvisamente gente da fuori”.
Il bello è che proprio Cipro dà ragione al ct! Mi spiego. Se c’erano due giocatori da più parti
indicati come pensionabili con decorrenza immediata, questi erano l’ultraquarantenne Zoff e il
trentaduenne Graziani, soprattutto quest’ultimo al quale si concedeva nella migliore delle ipotesi il
pregio del “cuore”, un bisonte della strada messo là per fare cuneo a vantaggio di Rossi.
Sorpresa! Proprio Zoff e Graziani sono usciti indenni dalla pena di Cipro, il primo evitando la
sconfitta, il secondo surclassando lo stesso Rossi. In altre parole, il calcio è una strana giostra dove
a turno si appare e si scompare e dove, a prendere alla lettera sempre l’ultima verità, si rischiano
cantonate spaventose.
Bearzot ha in seconda linea gente come Bergomi, Vierchowod, Baresi, mentre ha già rilanciato
Ancelotti. Non è un tecnico senza occhi per vedere, ma preferisce i piccoli passi, anche per non
bruciare gli innesti. E’ meglio buttar dentro un giovane in una squadra esperta, in grado di vincere,
piuttosto che mandarlo allo sbaraglio dentro un telaio in piena evoluzione. “Con le sconfitte, non si
creano né le squadre né i giocatori” ammonisce Bearzot.
Quindi, calma e gesso. L’impudico pareggio di Cipro fa schifo da tutte le parti senza che si avverta
il bisogno di ulteriori ridicolaggini a tavolino. Se oggi l’obiettivo è Parigi, per gli europei 1984, è
naturale che a qualificarsi o a farsi eliminare sia la squadra campione del mondo. Sarebbe
paradossale il contrario, e cioè tentare l’immediato futuro con una squadra diversa, sconosciuta, di
transizione. La riforma comincerà proprio quel giorno, con il sì o con il no a Parigi.
Quel giorno non è nemmeno tanto lontano e anzi ha già una data e un luogo: 16 aprile prossimo a
Bucarest per quella che Bearzot ha già definito “l’ultima spiaggia” di questa nazionale. O andrà a
vincere in Romania, riaprendo una qualificazione molto compromessa a Cipro, oppure converrà
rassegnarsi e da quel momento dare progressivamente volto a una nuova squadra, tutta impostata
verso il mondiale 1986. A Bucarest leggeremo la mano ai campeones.

Sbatter dentro gente nuova in una squadra consolidata, non è mica un gioco da bambini. Quando fu
la volta di Scirea, ricordo che il battitore ci mise 7-8 partite a fugare i dubbi. Quando toccò a Bruno
Conti, erano in molti a non volerne sapere per la sua tendenza al numero e alla dribblomania: si
diceva di lui che nemmeno i compagni riuscivano a capirci qualcosa quando partiva con il pallone
tra i piedi.
Dipendesse dalle pressioni e dagli umori, Bearzot sarebbe stato in questi anni il più feroce
inceneritore di miti e di speranze. A Cipro il pugno in un occhio è stato Paolo Rossi, ma nemmeno
tanta mancanza di energia nel centravanti manda il ct in orbita. Giordano è stato fermo due anni e
gioca in serie B: può aspettare, andiamo per gradi, semmai il vice di Rossi è per ora Altobelli.
Fossi nei panni di Bearzot, farei il possibile per accelerare i tempi con Giordano, indiscutibile
campione, capace di offrirsi in coppia sia a Rossi che a Graziani. Ma come non capire la prudenza
del tecnico? Rossi gli ha dato momenti irripetibili, la patente dell’eleganza sia in Argentina nel 1978
sia in Spagna l’anno scorso, dove fu l’uomo dei gol ma anche il giocatore che si muoveva come una
Borletti punti perfetti, la cucitrice dei passi d’attacco, buona tanto per Bettega che per Graziani.
La nazionale è un puzzle complicato. Il riverbero di una Juve bislacca si allunga su una squadra
mezza juventina. E poi, Rossi a parte, Cipro ha tirato fuori molte altre magagne, meno in vetrina ma
non meno importanti.
Ad esempio Scirea che si fa cogliere almeno due volte in devastante contropiede. Oriali che va a
due cilindri. Antognoni che da una vita si vede a disposizione tutti i calci di punizione e non ne
trasforma uno nemmeno per sbaglio. In più, come reparto, una difesa che ci mette più tempo del
necessario a sostenere l’azione di rimessa e una squadra che fa gioco troppo saltuariamente. “Dieci
minuti sono pochi!” ha meditato Bearzot mentre la brezza del mediterraneo filtrava tra i vetri e
un’orchestrina intonava “Le foglie morte”.
Fra due mesi a Bucarest la nazionale – parola di ct – sarà all’ultima spiaggia dove, a meno di
eccezionali urgenze dettate dal campionato (“ necessità estreme” le ha chiamate Bearzot), si vedrà
chiamata a una sterzata tipo-Barcellona.
Peccato che Enzo Bearzot sia condannato a questo ruolo di tecnico a intermittenza, che può
ritrovare i suoi giocatori a scatola quasi chiusa, soltanto di due mesi in due mesi. Da anni il ct ha
invece dimostrato che il meglio di sé lo tira fuori quando può tenersi i giocatori almeno un mesetto,
controllando più da vicino, oltre che gli schemi e gli scatti, anche i loro interiori labirinti.
L’altra sera gli ho letto dentro questa rabbia segreta.
La tortura del precario.