1983 Aprile 7 La Juve è gia con un piede in finale

1983 Aprile 7 – La Juve è già con un piede in finale

La Juve non ha entusiasmato, ma ha quasi prenotato la finalissima di Coppa Campioni, in maggio
ad Atene. Due gol di vantaggio sono molti anche se a Lodz immagino già una veemente rapsodia. Il
Widzew che fù di Boniek non è squadra di mezza tacca, e del resto non lo poteva essere se è
semifinalista in Europa e se tolse di mezzo il Liverpool.
La Juve ha vinto con un destro di Tardelli deviato in autogol e con un tocco da quattro passi di Bob
Bettega, quasi trentatreenne e quasi emigrato in Canada. Curiosamente, in questa Juve di Coppa
costruita su Platini e Boniek hanno finito ieri sera per decidere due della vecchissima guardia, la
Juve “storica” degli scudetti a ripetizione.
E’difficile dire se le incertezze della Juve, soprattutto nel primo tempo, siano dipese dalla
robustezza dei polacchi o da omissioni di Madama. Certo, alcune sbandate di Scirea e la riluttanza
a infiltrare l’ultimo passaggio in area altrui, stanno a dimostrare che la Juve non era al massimo del
suo potenziale. La pausa in campionato; il recente harakiri nel derby con il Torino possono aver
lascito addosso qualche residuo.
Non va tuttavia trascurata la forza dell’avversario. Una squadra tignosa, cocciuta nel chiudere,
pronta a rilanciare lungo. Avesse in attacco qualche colpitore in più, qualche attaccante più agile a
rigirarsi, sarebbero dolori per chiunque. Ecco perché, nonostante il 2-0, la Juve sarà anche in
Polonia chiamata a un match duro, scaltro, molto attento. Ha fatto benissimo Trapattoni, appena
chiusa la partita, a mettere le mani avanti: “Due gol ci bastano – ha detto – ma a Lodz sarà
necessaria una partita perfetta”.
La Juve ha segnato prestissimo, senza giocar bene. Sembrava molto preoccupata di marcare e
restava quindi parecchio sfilacciata, non compatta a ridosso delle punte, come sarebbe stato
necessario. Si è visto spesso Paolo Rossi in mezzo a tre-quattro spaventapasseri di polacchi. Rossi si
vedeva costretto a tagliare la corda all’ala destra, ma quelli lo avrebbero accompagnato anche al
cesso pur di non perderlo di vista.
Era una Juve un po’ angosciata, non bella e inghirlandata come contro l’Aston Villa. Sembrava il
suo un atteggiamento sbagliato perché rinunciatario, invece era soltanto opportuna prudenza. I
Polacchi fanno sempre paura; il loro contropiede è scarno, asciutto, affonda come un coltellaccio da
cucina. I polacchi facevano tackle a incudine e martello. Sentivo arrivare i rimbombi fin su in
tribuna, tanto è vero che si è sfiorato il colpo di scena: era Smolarek a pestare Gentile, non
viceversa! Scherzi a parte, poichè gli schemi tendevano per tuto il primo tempo ad azzuffarsi con la
geometria, andava a finire che l’impulso polacco trovava il clima ideale. La partita non era né bella
né ordinata. Veniva giocata di forza in un sostanziale equilibrio.
Liberato al tiro da un fraseggio d’organza tra Platini e Paolo Rossi, Tardelli ha ben presto percosso
uno dei suoi arrabbiati destri, ma a metter dentro è stato l’involontario tocco del terzino sinistro
polacco, Grebosz. Senza la sua benevola partecipazione, il portiere avrebbe parato.
L’autorete poteva spalancare la goleada della Juve; non è stato così. Nonostante alcune pericolose
infiltrazioni a rete (Rossi al 9’e Bettega al 29’), arrivano da …Lodz le migliori palle-gol. Al 19’ al
23’ e al 40’ i polacchi si mangiavano ripetutamente il pareggio. In un’occasione, sia Zoff che Scirea
facevano la figura dei sonnambuli ed era Brio a stoppare in piena area, in mezzo a un vuoto
spettrale. L’impressione del primo tempo è stata questa: una Juve che non riusciva a sbloccarsi.
Intimorita dietro, dove soprattutto Scirea riviveva inciampi da recente derby con il Torino. Il tutto

aggravato dal ritmo dei polacchi, fisicamente mai morti e scorbutici in ogni contatto. Soprattutto
giocatori raffinati come Platini e Rossi soffrivano una partita più di granito che di invenzioni. Il
gioco di testa di Bettega si vedeva assorbito dai marcantoni polacchi. I triangoli non passavano per
una ragione lapalissiana: la grande condizione fisica consentiva al Lodz di sostenere il contropiede
e, insieme, di rientrare rapidamente a far mucchio sul dischetto del rigore.
La gente si aspettava la grande Juve vista con l’Aston e soprattutto un grandissimo Boniek. Contro
al sua ex squadra, doveva essere la “sua” partita, un modo superficiale però suggestivo di archiviare
le molte sbiadite domeniche da quando gioca in Italia. Sostenuto da boati personali che nemmeno la
sinistra Norimberga dedicò al Fuhrer, Boniek era entrato in campo stringendo la mano a un polacco
e scatarrando un po’ a testa bassa. Stretti i lacci, aveva cominciato a scavallare con quei dondolii
imbufaliti. Una volta (al 9’) è passato tra i suoi compatrioti come un carro armato tra le tuberose.
Dopo un quarto d’ora, Boniek ha messo il piede sinistro in una buca, indolenzendo la caviglia. La
mezza storta l’ha un po’ frenato, rimandando i suoi difficili furori al secondo tempo. La miglior
Juve è venuta fuori qui, alla lunga, dopo l’intervallo con un quarto d’ora pirotecnico, di grande
perforazione. Proprio Boniek, proprio il campione più atteso della serata, ha ripetutamente chiamato
il secondo gol della Juve.
Dopo due rocamboleschi tentativi (con incredibile salvataggio sulla linea al 51’), Boniek ha messo
in moto dalla metà campo in su uno dei suoi inconfondibili rush, palla al piede in sfondamento, con
una capacità tutta sua di avanzare verticalmente, in piena scorciatoia.
Era il 58’ spaccato. Boniek è entrato in area, ha toccato a Rossi. Il centravanti ha restituito e Boniek,
sradicando il tiro di potenza, ha battuto in mezzo, nello specchio della porta. Sulla respinta
affannosa, corta, dai 4-5 metri Bettega ha messo dentro, senza difficoltà alcuna, nella porta deserta.
Era un momento importante, molto importante per la Juve 1983, confezionata la scorsa estate per
vincere questa Coppa.
Preso il 2-0 i polacchi se la sono presa tatticamente un po’ più larga. Hanno cercato di portare su
l’iniziativa, ma hanno mostrato il grosso difetto di non possedere un colpitore in grado di liberarsi
da una marcatura “alla Gentile”. Nell’ultimo quarto d’ora discutibilmente cambiato Rossi con
Marocchino, la Juve ha avuto i migliori spazi dell’intera partita.
Su questi ha ripetutamente provato Platini a inventare l’ultimo passaggio, ma qui alla Juve
cominciava forse a mancare un po’ di lucidità. Sennò non sarebbe stata follia archiviare davvero la
semifinale con un terzo gol. A dire il vero, il più fresco di tutti, cioè Marocchino, la palla buona se
l’è trovata proprio sul destro, a pochi metri dal gol. Ma, dopo aver inventato un grandissimo
affondo, il numero 16 è naufragato alla battuta.
Con quei suoi grandi occhi chiari, ci è rimasto tanto male che ha guardato all’indietro, lo sguardo
basso, quasi a prendersela con il terreno, per un malevolo rimbalzo.
In una serata fresca re ventilata, su un campo molto buono, assieme a un pubblico strepitoso, la Juve
è riuscita in un’impresa grandissima: senza incantare, ha dato due gol importanti a una squadra di
cento spigoli. Forse è questo il premio al mestiere, alla compostezza, al saper cogliere i pochi attimi
favorevoli.
In fondo, la Juve rinunciò definitivamente allo scudetto per smemoratezza nel derby, dando quella
domenica di non aver “senso storico”, di non aver capito il momento del campionato. In Coppa dei
Campioni, ieri sera, ha capito tutto. Così concentrata e con questo 2-0, il viaggio a Lodz avrà come
destinazione finale Atene.