1983 Febbraio 21 Tra Vicenza e Padova una B di troppo

1983 Febbraio 21 – Tra Vicenza e Padova una B di troppo

C’è una parte importante del Veneto che desidera appassionatamente di tornare in serie B: Padova e
Vicenza. Sono piazze infelici, che non si rassegnano a un ruolo subalterno nel calcio. Il Padova
perché ha alle spalle una città da un miliardo e mezzo d’incasso all’anno, testimonianza in volgari
lire di una enorme tradizione. Il Vicenza perché si sente ancora addosso le ventennali emozioni
della più stimata, e alla fine discusa, provinciale d’Italia.
Ieri le due infelici del calcio veneto hanno fatto derby, 0-0, rarissime palle-gol, più delusione che
interesse. Ma è un match nullo più preoccupante per il Vicenza che per il Padova: classifica alla
mano, il derby ha lavorato a vantaggio del Padova.
Arrivando allo stadio con altre diciassettemila persone, mi ero immaginato una partita tutta per
conto mio. Pensavo soprattutto a Cerilli e Bigon, 65 anni in mezzo al campo, un sinistro e un destro
con dentro un universo di calcio tecnicamente ben vissuto. Immaginavo due squadre destinate a
correre sui telegrammi spediti da Cerilli e Bigon, registi nel senso classico e un po’ desueto del
termine: passa qua che ci penso io.
E’ andata così soltanto in parte e in ogni caso senza accendere davvero la partita. Sia Cerilli che
Bigon sono stati marcati a tuttocampo, ma soltanto Cerilli ha impresso qualche sterzata al gioco. Un
suo colpo di biliardo, alla “Real Lanerossi” d’altri tempi, è stato a sei minuti dalla fine l’ultimo suo
cadeau per intenditori. Il Padova lamentava l’assenza di Bozzi; il Vicenza di Perrone e Dal Prà.
Francamente non so quanto abbiano influito le assenze; so soltanto che il derby sta ancora cercando
un attaccante vero, un ragazzo che senta attrazione fisica per la porta altrui. Non c’è, e deve trattarsi
di un’impotenza psicologica prima che di talento. Non c’è furore i queste punte: o sono molli o sono
brocche. Per una ragione o per l’altra trasformano i terzini in tanti Ruud Krol.
Curiosamente, Vicenza e Padova attaccano alla stessissima maniera. Con due ali sinistre, Grop e
Ravot, cui si aggregano due giovani centravanti di piede sensibile: Pistis, ventenne abruzzese dai
calzettoni bassi sulle caviglie; Cavestro che alla sua apparizione fece innamorare Padova e che
adesso si vede circondato da una rabbia delusa.
Le due coppie, Grop-Pistis e Ravot-Cavestro, non hanno funzionato. E l’impressione è stata tanto
precoce da far prestissimo temere che lo 0-0 non lo avrebbe potuto schiodar nessuno, Soprattutto
Cavestrino, al 4’ e al 17’ ha confidato che non era il caso di illudersi; da pochissimi metri, prima ha
maldestramente alzato il sinistro poi non ha trovato l’impulso per sollevarsi abbastanza di testa.
Pur avendo giocato meglio, è come se il Padova non avesse fatto nulla di più del Vicenza. In zona-
gol c’è tanto poco da raccontare che nessuno avrebbe potuto sospettare in campo la presenza di un
derby di gran classifica. Forse c’era una B di troppo a togliere geometria e idee.
Il miglior centrocampo è del Padova, con Cerilli-Manzin-Da Re tutti all’altezza della situazione,
con un solo dubbio: questo Padova è così attento a marcare, possiede una tale concentrazione tattica
da perdere qualcosa in libertà di gioco. Badando alle distanze, rischia troppo poco a ridosso delle
punte a tratti scarsamente sorrette o, meglio, sorrette con lanci e cross, mai in triangolo. Quando poi
la palla buona c’è stata, Cavestro ha messo in fibrillazione l’aorta biancorossa di Nino Zucchello-
Fiorin e dei loro amici in tribuna: è un “abatino”, un “vigliacco”, “se ci fosse Gipo Viani lo avrebbe
già battezzato coniglio”, “sa giocare ma non va dentro”.

Il Padova poteva ma non ha vinto; il Vicenza non poteva proprio. Il suo spirito migliore l’ha
ottenuto su grazioso passaggio del Padova verso Donà! Il Vicenza è sembrato meno squadra del
Padova, meno compatto. I suoi slanci uscivano dai muscoli più che dagli schemi ma, e questo è un
buon segno, la squadra sembra potenzialmente viva e vegeta, mentre l’attende Trieste.
Questo 0-0 è in fondo stato null’altro che un armistizio, con la B e con se stessi. La guerra tornerà
domani.