1983 Aprile 18 Non c è Italia senza i gol di Paolo Rossi

1983 Aprile 18 – Non c’è Italia senza i gol di Paolo Rossi

Che momentaccio per il nostro calcio! Due società di serie A (Inter e Genoa) sospettate di tentato
illecito. I Clubs professionistici in pieno allarme finanziario. La questione-arbitri alla deriva con il
suo carico di mine. E ora l’Italia che lascia anzitempo l’Europa. Nella patria socialista del Gerovital,
nemmeno la dottoressa Aslan avrebbe potuto rivitalizzare efficacemente l’ultima Nazionale di
Bearzot. Per quanto si faccia in laboratorio, non esiste una via artificiale al football: o giochi meglio
o corri il doppio o segni di più, di qua non si scappa, e l’Italia l’altra sera non ha giocato né meglio
né corso o segnato di più. Il meticoloso professor Leonardo Vecchiet s’era portato in Romania
anche dei pacchi di “Carnetina”, ma ci voleva ben altro che un buonissimo ricostituente.
L’Impotenza goleadoristica dell’Italia viene da lontano, esattamente dallo scorso ottobre, alla
ripresa dell’attività post- Mundial.
L’Italia del campionato Europeo assomiglia a quella di Vigo: ecco perché viene tuttora difesa da
Bearzot: il Ct la trasfigura quasi che, da un momento all’altro, fosse ancora capace di sublimare sè
stessa e lui. Una impossibile ricerca del tempo perduto.
In quattro partite europee, l’Italia ha fatto la miseria di tre punti, segnando tre volte. Segno di
decadenza è anche il fatto che a Bucarest non si sia avvertito nello spogliatoio il minimo accenno
all’autocritica. Bearzot e i giocatori hanno perfettamente ragione nel lamentare il gioco sporco dei
rumeni e alcune omissioni dell’arbitro, a patto tuttavia d’essere anche disposta a confessare prima
un gioco disarmante e poi un gioco disarmato. O mancava la corsa o mancava la pericolosità: un
Italia davvero intera non la si è vista mai. Le due lampanti palle-gol (al 29’ Tardelli in schiacciata;
al 78’ Altobelli con pallonetto) sono finite sciaguratamente fuori. Tra i pali non siamo esistiti. Le
bocche da fuoco sono poche e mal rifornite di munizioni.
Non ci sono cross aggiranti, quelli sventagliati da fondo campo. In mezzo, la spinta è davvero poca
cosa: in manovra, Marini non vale naturalmente Oriali. Con un freddo penetrante, Tardelli ha
sofferto molto per la sciatalgia e, la notte dopo la partita, non ha mai chiuso occhio. Antognoni è
durato meno di un’ora, sbattuto fuori da un tacchetto piantatogli a metà gamba, tale da procurargli
un buco grosso così. Nonostante un Dossena più vivo che mai, la pressione dell’Italia è sempre stata
volonterosa, mai autoritaria. Chi ha visto autentici inserimenti dai venti metri dei Conti, Tardelli,
Cabrini?
Di conseguenza, tutti gli occhi sono su Paolo Rossi: o risolve lui o è la fine. Fateci caso: l’epopea
Mundial coincide anche con i sei gol del centravanti in tre partite; la virtuale eliminazione dalla
Coppa Europa segnala anche zero reti di Rossi in quattro partite, ben cinque se comprendiamo
l’amichevole con la Svizzera. Hai voglia di dire che un giocatore non fa squadra! Rossi è il
detonatore della Nazionale; se non funziona lui, non si avvertono botti di alcun genere; gli schemi
non si chiudono. E del resto, ai tempi della sua squalifica, Rossi era atteso come il messia proprio
perché il gol era diventato l’irraggiungibile “caro ideal” della confraternita di Bearzot.
Rossi paga oro, incenso e mirra del Mundial. Lo marcano come un picciotto di grande rispetto,
mentre a lui riesce difficile trovare una spalla di peso. O perché Graziani ha il piede greve o perché
Bettega palleggia a ritroso, Rossi riassume troppo su di sé l’intera cifra-gol dell’Italia quando
invece la superiorità di Barcellona e Madrid consistette anche negli assidui appoggi di difensori e
mediani. Vi vuole insomma chi sappia impugnare e affondare la baionetta, sennò finisce con il
servire al massimo da inoffensivo coltello per tagliare il pane.

I rumeni poi sono più drittoni degli stessi argentini. Sabato sera, ciò che l’arbitro francese non è
riuscito a cogliere è tutta una serie di piccole, ben occultate angherie che colpivano soprattutto
Rossi (e Bettega) al momento di smarcarsi. L’arbitro vigilava su chi aveva il pallone e mai
s’avvedeva dei danni patiti da che cercava di liberarsi per ricevere. Se a un attaccante, per quanto
abile, togli il, vantaggio di quel metro che gli deriva dall’intenzione, allora il difensore ha vinto a
priori. Ricordate Maradona con Gentile?
Tra Coppe Campioni imminenti e scommesse incipienti, la Nazionale si è arresa, scontando forse
anche il calo d’atmosfera interno. In poche parole, è andata e amen. Nessuno può togliere all’Italia
il suo stupendo titolo mondiale, ma non ha più senso indugiare ora sui ricordi, meditando
impossibili bis. Disse a suo tempo Bearzot: “ Sento il dovere morale di affidare ai campioni del
mondo l’opportunità di andare o no agli europei di Parigi”. Lo ha fatto, gli è andata male, si è
disobbligato, tanti saluti e grazie, la vita incalza, bisogna adeguarsi. Ora sì che non ci sono ragioni
per insistere sul passato: con prudenza o alla svelta è tempo di potature e di innesti.
Non andando a Parigi sono saltati molti soldi, molti affari per l’intero clan, “Affari per centinaia di
milioni”, mi diceva con molto rammarico il responsabile di un’agenzia di viaggi di Roma.
Paradossalmente due arbitri francesi hanno dato a Firenze e Bucarest una mano per tenere fuori
dalla rass3gna francese proprio la squadra di maggior richiamo turistico e di freschissimo blasone.
Segno che il calcio rischia persino di essere onesto fino all’autolesionismo.
Bene, sabato a Bucarest ha ufficialmente cessato di esistere la nazionale Mundial, quella storica che
diede all’Italia un mese di indicibile ebrezza popolare. Enzo Bearzot permettendo, quella nazionale,
è defunta, viva la Nazionale! Bisogna avere il coraggio di non guardare più indietro: solo
ricominciando da capo, ci si perpetua. Buon lavoro, Ct.