1983 Aprile 17 Italia mondiale, addio! E grazie

1983 Aprile 17 – Italia mondiale, addio! E grazie…

Una fiaccolata molto suggestiva e per noi sinistra accompagnano l’addio dei campioni del mondo
1982 alla coppa Europa 1984. Anche se manca il conto matematico, l’Italia è praticamente
eliminata dal feroce sinistro di un biondino tutto riccioli, fisico molto elegante, Ladislao Boloni,
anni 31 , che con molta probabilità sarà nel prossimo campionato il regista del Verona.

In una partita molto equilibrata ha deciso un calcio di punizione da 25 metri che Dino Zoff si è visto
saettare sulla suola destra, dopo un rimbalzo assassino che ha complicato il già difficile intervento.
Un segno del destino in una partita di contatti sempre aspri, a tratti cinici, che hanno quasi sempre
impedito all’Italia di ragionare.

Dopo tre pareggi con Cecoslovacchia, Romania e Cipro, l’Italia ha perso a Bucarest, così mettendo
insieme una classifica davvero mediocre che non ricorda nemmeno vagamente l’exploit mondiale di
Barcellona e Madrid. E’un’Italia che trova grande difficoltà ad andare in gol, forse in qualche modo
vittima di un carico di gloria persino eccessivo.

Tutti l’aspettano al varco quale campione del mondo. Tutti si dedicano a Paolo Rossi come al
miglior goleador. In queste condizioni, a metà tra l’handicap psicologico e la fermezza delle
marcature, servirebbe poter opporre una Nazionale massiccia, di gioco assodato, essenziale. Il che
non appartiene in questo momento alla Nazionale di Bearzot, esperta e matura finchè si vuole,
sempre disposta al gioco d’iniziativa, ma in grave difficoltà quando, si tratti di rumeni o ceki o
ciprioti, gli avversari impongono alla partita il segno della forza fisica, della velocità. Cioè il calcio
che non cerca di colpire in evoluzioni mandate a memoria bensì con il piede sempre
sull’acceleratore.

Un gol su punizione dopo meno di mezz’ora non dovrebbe essere stato irrecuperabile, ottenendo un
pareggio che in qualche modo consentiva qualche residua speranza europea. Il dramma sta qui: per
tutta la partita non leggo un solo intervento davvero serio del portiere rumeno! Bettega si è persino
contorto al volo su un tiraccio a candela. Rossi ha trepestato un paio di palloni sotto misura senza
vedersi servire palloni davvero invitanti durante l’intera partita.

I rumeni marcano con potenza, chiudendosi assai ben dietro. Le nostre difficoltà non sono d’altra
parte tutte qui: il fatto è che a centrocampo abbiamo sofferto un primo tempo caotico, carico di
agguati. I rumeni hanno dato subito ritmo al match. Aperture molto larghe, verso l’ala destra o il
terzino sinistro costantemente risucchiate in avanti da un Conti troppo in retromarcia. Il loro
pressing era soffocante, ruvido finchè si vuole ma molto efficace, capace di dare alla partita un
timbro tumultuoso.

L’Italia si affidava a quanto sa e conosce: il miglior piede, una maggiore sensibilità allo schema.
Solo che la tecnica e la classe richiedono una precisa cadenza e la Romania l’ha tolta di brutto agli
azzurri. Non ha concesso loro il tempo, quel minimo di riflessione che è alla base del nostro gioco.

Forse, per smorzare tanto accanimento, sarebbe stato necessario giocare di prima, con schemi
asciutti, mai parcheggiando palla al piede. Quello dei rumeni era un gioco molto dispendioso
fisicamente e, su quel piano, l’Italia non era alla pari. In termini di impeto e di aggressività nei
tackles, dimostrava inferiorità.

Quando un italiano teneva palla gli andavano addosso in uno due, anche tre. L’Italia non riusciva a
trovare la frequenza giusta degli scambi, troppo stretti, troppo difficili. D’altra parte ricorrere ai

cross laterali poteva essere altrettanto inoffensivo dal momento che dalle parti di Rossi stazionava
una sorta di condor, lo stopper Iorgulescu, un metro e novanta di statura, uno che quando vede il
pallone per aria è come se accogliesse una tenera colomba tra gli artigli.

Il bilancio di questo scompenso è chiaro: due parate-gol di Zoff all’8’ e al 16’; un gol annullato
all11’ per carica del centravanti su Zoff; quindi il gol partita per quanto parzialmente fortunoso.

In una serata sempre più gelida, l’Italia è cresciuta un po’ nel secondo tempo, dato che i rumeni
mica potevano resistere a quel ritmo. L’Italia ha ritrovato compostezza, maggiore coordinazione,
senza tuttavia che il risultato prendesse una piega diversa. Il fatto è che in zona-gol non cambiava
quasi nulla. Il gioco si faceva più arioso, anche più incisivo; la partita era a quel punto in mano
all’Italia, che però non riusciva assolutamente a togliersi di dosso un senso di rabbiosa impotenza in
area di rigore rumena.

L’arbitro francese – Autoritario e onnipresente – ha commesso un solo grave errore: aver chiuso gli
occhi su Antognoni selvaggiamente picchiato all’altezza della tibia da uno dei due scarponi di
terzini, se ho visto bene Ungureanu che andava espulso. Dopo pochi minuti dal secondo tempo, lo
iettatissimo Antognoni è uscito perdendo molto sangue, simbolo questo di una partita che
tecnicamente parlando non ha aggiunto nulla alla storia del football europeo.

Tirate tutte le somme, il pareggio ci stava, anche se non ho mai avuto l’impressione che questa
Italia potesse rimontare e vincere. L’”Italia spagnola” è un ricordo, si è vista si e no una decina di
minuti. Troppo pochi, anche perché in questo 1983 la squadra ha sempre meno peso in zona gol. Per
troppo amore, Enzo Bearzot giudica con scarsa freddezza e con eccessiva benevolenza la
prestazione complessiva dei suoi. In realtà, l’Italia ha sofferto sul piano fisico e, quando è
finalmente riuscita a esprimersi in termini tecnici, non ha creato né corridoi efficaci né palle-gol
serie. Il centrocampo non ha trovato consistenza per quanto si desse lodevolmente da fare.

Bucarest ci chiude in faccia l’Europeo 1984 e apre in pratica una nuova fase della Nazionale,
precocemente costretta a pensare al mondiale 1986! Una situazione paradossale, spiacevole, che
accorcia clamorosamente la vita della squadra Mundial. Primi al mondo e, un anno dopo, nemmeno
tra i primi otto in Europa! E’ una mazzata che lascia un profondo senso di amarezza.