1981 Agosto 31 Giornali e sport

1981 Agosto, 31 – GIORNALI E SPORT

La settantina di quotidiani che escono in Italia vendono tutti insieme circa cinque milioni di copie al
giorno. Poche, pochissime se confrontate con il resto d’Europa: basta un solo quotidiano inglese a far
pari con l’ intera stampa italiana.
Mettiamo questa realtà a contatto con lo sport. Soltanto i tesserati del calcio sono oltre due milioni. I
telespettatori di una partita della nazionale impegnata a un mondiale sono circa trenta milioni, la metà
della popolazione italiana. Dieci milioni di persone pagano per assistere a partite di campionato. Tra
scommettitori del Toto, generici appassionati e gente in qualche modo interessata all’azienda-calcio
(fatturato di trecento miliardi all’anno) si può tranquillamente affermare che non esiste in Italia
fenomeno più popolare e capillare.
Giornali e calcio convivono in un rapporto organico. Fisiologico a tal punto che spesso non si capisce
più se sia lo stesso sport, trainato dal calcio, il vero proprio editore o se sia la stampa a diffondere lo
sport. Probabilmente un intreccio di entrambi.
I dati sono da primato. Soltanto in Italia escono ogni santo giorno quattro testate sportive, mentre i
quotidiani politicidanno, dagli anni Sessanta in poi, spazio sempre crescente allo sport, lo sbattono
senza problemi in prima pagina, gli dedicano massicci inserti al lunedì, non risparmiano sugli inviati.
Perfino quotidiani nati con la dichiarata intenzione di non occuparsi di sport, hanno ben presto finito
con l’arrendersi alla domanda dei lettori, esattamente come tutti: è il caso di “Repubblica” e del
“Giornale”.
Tirature alla mano, lo sport può essere un affare. Nei giorni scorsi la “Gazzetta” ha annunciato di aver
toccato per la prima volta la tiratura di settecentomila, ovviamente al lunedì. I mondiali di calcio di
Messico ’70 e Argentina ’78, oltre alla vittoria iridata di Felice Gimondi al campionato di ciclismo su
strada, sono ormai nella storia dello sport, dell’editoria de dei massimi indici televisivi.
Grandi firme del costume dicono volentieri la loro su gli aspetti più discussi dello sport. Espressioni
del gergo sportivo entrano nel linguaggio politico offrendogli spunti di insperata chiarezza. La moda
del vestire, combinatasi con la scoperta sempre più laica del corpo, aumenta il taglio sportivo,
spigliato, giovane. Lo sport alimenta il turismo.
Da qualunque parte si osservi il fenomeno, lo sport è un settore che tira, a tal punto da aver quasi
prosciugato la la palude del calcio-scommesse riuscendo a resistere ai baluba degli stadi, alla violenza
di incolte minoranze, alla scarsa cultura, sia pure una cultura di massa, su valori minimi e comodi di
convivenza.
In una stampa quotidiana che vende globalmente poco ma che piazza benissimo la notizia di sport, il
giornalista cosiddetto sportivo vive una perenne contraddizione. In teoria la sua dovrebbe essere la più
lieve e serena delle testimonianze. Si occupa di evasione, hobby, tempo libero, attività motoria,
spettacolo, materia da tempo di pace. Dispone di ogni premessa per un racconto piacevole, sottratto a
pressioni oscure o palesi.
Sulla carta è così. la realtà è assai diversa. C’è poco di rilassante, sopratutto nel calcio, e la psicologia
di massa prende tutto dal calcio, cosicchè l’intero sport italiano espone pressappoco la stessa
mentalità.
Su chi fa cronace di sport preme una moltitudine di tentazioni. Il tifo, che è l’unico colpo di fulmine

che può durare una vita. Il provincialismo, che è una crosta reazionaria capace di elevare microbi a
giganti. Il servilismo, che è un complesso di inferiorità verso chi ha il potere (i dirigenti) o chi ha il
numero (la folla).
In più, la pressione degli interessi di chi produce sport, dalle società agli organizzatori, bravissimi nel
mescolare scadenze economiche e umori di piazza. Una società di provincia come l’Udinese costa
oggi più di tre miliardi all’anno; per rafforzare una squadra del campionato dilettanti si spendono
anche cento milioni. Le lire sono un nuovo detonatore d’atmosfere, un moltiplicatore di tensione.
Il calcio spettacolo, tranne bucoliche eccezioni, ha perso da un pezzo la parrocchia, si è fatto
comunale, spesso può servire ad una carriera politica, sociale, anche speculativa. Da quando si è
offerto agli sponsor è pubblicità, investimento industriale.
Le polverose, romantiche cronache dei pionieri del giornalismo sono nel mito. Elucubrare se ciò sia
progresso o decadenza è esercizio masturbatorio sul tempo che fu. L’oggi è diverso e di fronte a tanta
ribollente diversità il giornalista moderno è fortemente chiamato a un’entusiasmante, aggiornata
professionalità.
Ho un amico a Venezia, juventino storico, che chiama “Tuttosport” la sua “Pravda”, cioè la verità. Se
non sta scritto su “Tuttosport”, per lui non è mai esistito. Il tifoso riconosce la sua verità e null’altra, è
un iscritto al partito. Atteggiamento questo complicato in Italia dal luogo comune secondo cui “i
giornali raccontano balle”, bale di tutti i generi, politiche o sportive non fa differenza. Si legge poco e
chi legge non crede abbastanza.
E’ l’enorme problema della credibilità che Massimo Giacomini, nello stile dell’invettiva, ha
sintetizzato con un livido, pesantissimo giudizio apparso sul “Giorno”.
Ha detto Giacomini: “Ce l’ho con ci ti pugnala alle spalle perché asservito in malafede ad una causa
che non è la tua. La stampa sportiva dà lezioni di morale a destra o a manca e la gente non sa che sono
tanti quelli che prendono soldi dai presidenti di società”.
Giacomini è giovane, bravo, conosce il significato delle parole. Al di là di una franca inchiesta da
svolgere per stanarlo dalla comodità fin troppo agevole del generico, questa dichiarazione è la punta
dell’iceberg, un segnale di sfiducia che paradossalmente prova tanto la popolarità del calcio quanto le
sue insidie.
Lo sport-spettacolo è diventato una cosa molto seria, questo è il fatto. E richiede un patrimonio
quanto mai elevato di professionalità e di vigilanza in tutti coloro che, a qualsiasi titolo, se ne
occupano in campo o in tribuna. E’ un compito affascinante quanto duro, ma inderogabile, pena la
degradazione del fenomeno a finzione di massa.
Quando arriva, ammoniva Carlyle, la democrazia “è cinta di tempesta”. Le cose davvero buone sono
sempre una sfida carica di rischi perché creativa.
Interessa poco che Massimo Giacomini precisi o meno le sue accuse di qualche giorno fa. L’alba più
bella della stampa italiana sarà quella in cui nessun Giacomini arriverà, non dico a denunciare, ma
nemmeno a sospettare.
L’onestà non è un bene di Dio, ma una faticosa resistenza a noi stessi. E’ un patto con il
lettore:rispettarlo o tradirlo significa illuminare od oscurare lo sport.

Giorgio Lago