1979 marzo 5 Al Milan resiste solo il Perugia

1979 marzo 5 – Al Milan resiste solo il Perugia – Rossi-
Giordano 3 gol a Vicenza – Continua il dominio dell’Udinese –
Speranze per Leonardo David

Ho conosciuto Leonardo David lo scorso autunno ad Asolo.
Eravamo premiati assieme, lui come atleta “promessa” del 1978, io
come giornalista. Ne ricordo lo sguardo chiaro, i riccioli biondi, il
timido sorriso di valligiano, le cose dette con levità, e mi sembrava
impossibile che appartenesse alla stessa razza dei Klammer e
degli Stenmark, gente da ghiacciaio, di tremende muscolature.
Oggi David viene tenuto in coma barbiturico in una clinica
statunitense e soltanto fra cinque giorni i medici potranno
sciogliere la prognosi. Negli occhi di tutti sta la terribile oscillazione
sofferta sugli sci a due passi dal traguardo di Lake Placid, la
caduta, due ore d’intervento al cervello, l’asportazione di un
ematoma cerebrale formatosi dopo un ruzzolone a Cortina. Il
piccolo David è stato per un lungo attimo vittima del Golia
agonistico, preda dello sport moderno, che chiede sempre tutto,
rischi e coraggio come “mestiere”, forse al di là delle stesse soglie
personali.
Leonardo David ha 13 anni, è valdostano, e noi siamo qui a
sperare che la “promessa ’78” del premio Diadora restituisca il
delicato sorriso. Lo sport è un impasto di vita e paure, di successi
e capitomboli. Nello stesso giorno del dramma di David, sulla pista
sudafricana di formula uno lo sport italiano aveva ritrovato un suo
bene infungibile, la Ferrari, motori concepiti a Maranello per essere
i migliori del mondo, un cavallino rampante come stemma sul
muso rosso ed era quello il simbolo della squadriglia da caccia di
Francesco Baracca nella prima guerra mondiale.
Al livello formula uno, il rapporto tra macchina e pilota è sempre
stato di difficile calibratura. Enzo Ferrari afferma : “Il pilota è come
un fantino”. Niki Lauda replica: “Il motore non ragiona, il pilota sì”.
Ferrari, che nega anche l’esistenza della “sfortuna”, tende a
demitizzare la figura del pilota (con la sola eccezione di Tazio
Nuvolari), e lo strapotere delle sue nuove T4 in Sudafrica sembra
fatto su misura per restaurare il vero mito, l’unica leggenda
consentita dal “gran vecchio”: l’officina di Maranello.
L’angoscia per David e l’orgoglio per Ferrari sono i sentimenti che
hanno condizionato
il
campionato di calcio ha conosciuto esiti intensi, affatto di routine.
Dopo due terzi di partite, il Milan riprende pieno possesso dello

il week-end dello sport, ma anche

scudetto ’79. Nonostante la resistenza del Perugia, andato a
vincere in trasferta quanto i rossoneri, il barone Liedholm ha tenuto
ad aristocratica distanza tutti gli altri, a cominciare da un mediocre
Torino per finire con un’Inter impersonale e con una Juve in
dissolvenza, capace di febbre agonistica soltanto in Nazionale.
Il Milan impasta schemi di mera esperienza, esaltando talenti
nuovi di zecca come Baresi all’interno di una squadra sorniona,
reduce da cento porti di mare. Anche a Firenze, i suoi uomini-gol
sono il terzino Maldera (anni 26) e il “fasso tuto mi” Alberto Bigon
(anni 32), che in tribuna stampa a San Siro chiamiamo senza
sarcasmo Bigolòn, non so se perché nato in via del Bigolo a
Padova o per sottolinearne con accentuata simpatia il modo
dondolante e dinoccolato di andare a rete.
Scudetto a parte, il top in area di rigore era tuttavia in calendario a
Vicenza tra due ventiduenni goleador, Paolo Rossi e Bruno
Giordano, entrati in campo con un retroterra di 12 reti ciascuno, il
vertice tra i marcatori. Ieri a Vicenza entrambi cercavano di far 13
ed entrambi ci sono riusciti, con una puntualità sconcertante tenuto
conto dell’ossessivo indottrinamento all’insegna del “no pasaran”,
esercitato dagli allenatori sui rispettivi stopper, Manfredonia per
Rossi e Prestanti per Giordano.
Rossi ha addirittura fatto 14 con un gol su rigore e uno su azione,
ma raramente ho assistito a un duello tanto entusiasmante, tra
centravanti leggeri (tutti e due sui 67 chili), di media statura (tutti e
due sul metro e 75), bravi per il gioco che fanno più che quali bruti
bombardieri di porte altrui.
Giordano è trasteverino, ragazzo di borgata, dove s’impara
soprattutto ad arrangiarsi e a vivere di espedienti. Ha
un’espressione furba e Franco Janich lo definisce “romano
sincero”. Giordano sa scippare il gol in area ma è particolarmente
attrezzato per tirare in tutti i modi e in tutte le posizioni. A Vicenza
ha provato di shoot da fuori area, di aereo pallonetto, in mischia,
ed ha segnato tagliando di sinistro un lungo diagonale dai 18 metri
come sarebbe riuscito a Gerd Müller.
Rossi non ha nulla che lo imparenti a Giordano. Rossi è toscano e
borghese. Legge Freud, s’è formato in collegio, è cattolico e
pratica, gli piace Zaccagnini, amministra i forti guadagni di oggi
consapevole che gli altari del football sono traballanti e volubili.
Ieri a Vicenza, Rossi ha sofferto il primo tempo di Giordano. Non
per invidia, ma per professionalità: Pablito sapeva benissimo che
tutta quella folla era in campo per il bel sole e soprattutto perché lui

fosse “migliore” di Giordano e dello stopper Manfredonia, pariolino
molto su, figlio di avvocato, l’aria presuntuosa di chi scambia i
propri piedi per un destino.
Rossi ha segnato prima su rigore, e non era però quello un modo
esauriente di vincere. Aveva bisogno di un gol manovrato, e l’ha
avuto, lungo, 50 metri di contropiede, uno scatto rabbioso, una
secca finta sul battitore libero, un tocco tagliente da destra, in rete,
la rete sepolta dai coriandoli degli ultras.
Paolo Rossi e Bruno Giordano hanno onorato un modo moderno di
essere avversari: efficienti e corretti,
restare
gelidamente sordi al tumulto della folla. Il gol come astrazione della
classe. Ne sa qualcosa anche l’Udinese, più che mai dedita alla
semina di un buon football.

riuscendo a