1977 marzo 9 Dentro Lauda

1977 marzo 9 – Dentro Lauda

Andrea Nikolaus Lauda va rivisitato, non come pilota ma come
personaggio. Dietro il sorriso da coniglio si nasconde un uomo che
sta stretto in tutti i precedenti ritratti dell’agiografia motoristica.
Un giorno parve tanto freddo da andare sempre servito con
ghiaccio. Era pilota così poco reattivo da sembrare sprovvisto del
gran simpatico.
Il suo sistema neurovegetativo usciva da
Maranello lucido come un pistone invece che striato dalla “libido”
del compatriota Freud. Al volante fu definito computer, per la
marcia cronometrica delle sue vittorie, per il senso dell’economia
con cui trattava i motori e, soprattutto, per l’apparente tendenza a
strangolare l’emozione con le essenziali mani della tecnica.
Più tardi, tutti abbiamo celebrato il funerale di “questo” Lauda. Non
per il rogo che lo arse al Nuerburgring ma per il colpo di freno dato
nella pioggia alle pendici del Fuji, montagna sacra dei giapponesi.
Presentatosi alla partenza con orrende ferite da samurai della
formula uno, Niki rifiutò presto l’ostacolo tanto da farsi ammirare
per “il coraggio di avere paura”.
Lauda provocava imbarazzo più che pietà perché era troppo forte il
contrasto in quel computer di colpo immerso nel pathos. Era più
uomo, si osservò, e meno pilota. Fummo in molti a sospettare che
la Ferrari e l’Austria avrebbero perso un asso.
Ma Lauda riprese conoscenza di sé, ha vinto in Sudafrica, oggi
collauda in pista a Fiorano e i quotidiani francesi lo chiamano
ancora l’invincible. Chi è allora il Niki ’77? Un uomo d’una sola vita
sul quale ci siamo esercitati come tanti Pirandello per farne un
prototipo a molte facce. Prima e dopo l’incidente, nel brivido
vincente e nella strizza della sconfitta, ha sempre recitato la stessa
parte: se stesso. Lauda era sempre lo stesso, ma noi lo volevamo
ogni volta diverso, per comodità di copione e di clamore.
Lauda conobbe la moglie ad un night, quand’era compagna di
Curd Jurgens. Lo dicono timido e, forse, la sua timidezza è
soltanto riservatezza, qualità delle persone di carattere. Il suo
hobby non erano le farfalle, ma il paracadutismo. Tutto, anche la
vita privata, suggerisce alla fine un Lauda diverso, un personaggio
né freddo né incolore. Non ha il fascino di un Hunt, avventuroso e
scostante, occhi maliziosi e lunghi capelli biondi. Tuttavia, nessun
pilota al mondo ha mai vissuto un’avventura macabra e solitaria,
come l’incendio, con l’aria di sfida di Lauda.

Quel giorno in Germania Lauda respirò dal fuoco boccate d’inferno
senza rimetterci l’anima. Per questo l’uomo del night e dei tuffi nel
cielo gira oggi disinvolto con un cartoccio d’orecchio e una fronte
chirurgica. Regge il male perché non ce l’ha dentro, trattandosi di
una banale questione di pelle. Ora so anche che in Giappone non
ebbe paura sennò non sarebbe riuscito a stremare tutti con il
“ritmo” tenuto in Sudafrica. La rinuncia del Fuji non fu una
vigliaccata ma un consiglio della ragione, un riflesso del cervello:
erano saltati un collaudo e un rodaggio, non la carriera.
Lauda stupisce per la coerenza. Porta molte cicatrici ma non ha
una ferita aperta. E’ arbitrario aver pensato ad una sua “frigidità”
soltanto perché non forzava i gesti. Dal modo in cui ha aggredito la
vita (“è risuscitato” fu scritto), Lauda ha anzi dimostrato che i frigidi
eravamo noi.
Il suo segreto sta forse nel luogo di nascita, Vienna. Lauda arriva
filtrato da una cultura originale, europea, incrocio di contrari: il
teatro che più comprese la Duse; il popolare divertimento del
Prater; la musica di Schubert e le operette di Strauss; le ipnosi di
Freud e il modello di diplomazia asburgica incarnata dal principe
Metternich. La discrezione e il sorriso di Lauda, il temperamento e
l’inquietudine, il solenne di una corsa e il valzer di una vittoria, tutto
gli si fonde dentro per costruire non un pezzo d’austriaco, ma un
ritratto di viennese. Il che è tutta un’altra cosa, anche al volante di
una Ferrari 312/T2.