1976 settembre 25 Un “nazista” e un eroe turbato

1976 settembre 25 – Un “nazista” e un eroe turbato

Occhietti affondati, profilo carico di anse che sono il segreto dei caricaturisti, Barazzutti è tennista
attrezzato. Una fascia gli stringe i capelli alla fronte, due polsiere con i colori della bandiera
francese gli assorbono il sudore delle braccia. “E’ uno dei nazisti del tennis” lo definisce Panatta per
sfotterne l’ideologia del forzato della terra rossa, gli allenamenti tirati quanto veri set, la
concentrazione ottenuta anche a scapito della vita privata, un tipo che ogni risposta al servizio o
pallonetto o passante ottiene soprattutto da atleta col fisico. Per aspetto e temperamento, Barazzutti
è più Borg che Panatta; il sangue friulano ne irrora la racchetta.

Ventitre anni, Barazzutti non conosce palle disperate. Le insegue tutte piegando la gabbia di ossa
che è la schiena; le gambe sono agili e gli consentono di esaltarsi nella risposta a Newcombe che,
per eguagliarlo in movimento, avrebbe bisogno del supplemento di una coda, la stessa dei canguri
della sua Australia.

Il tennis di Barazzutti è quasi tutto conquistato, più che ispirato. Quello di Panatta emana dalla
classe e la classe può essere a tal punto naturale da provocare un sospetto di languore in chi guarda.
L’ultimo set di Barazzutti, Panatta l’ha osservato al televisore della sala stampa; quattro racchette
appoggiate sulle ginocchia, guance un po’ pallide, capelli rinascimentali, corpo da statua di carne,
Panatta è rimasto in silenzio fino all’ultimo colpo di Barazzutti. “Annamo, va” ha poi mormorato
rivolgendosi a un amico e alzandosi per andare alla battuta con Alexander. Aveva l’aria di chi va a
farsi una passeggiata col cane; invece era teso, più di Barazzutti, perché la classe è spesso più
fragile dei muscoli.

Panatta ha giocato senza giocare, perduto senza ribellione; la racchetta era l’ultima appendice di
nervi e umore. Anche se il pubblico lo violentava con passionalità plebea, ha conservato l’eleganza
e il distacco di un patrizio, rifiutando nonostante il momento critico, una palla regalatagli per errore
da un giudice di linea. La signorilità di Panatta omette il risultato; vincere o perdere non la gonfia
né la impoverisce.

Mentre il sole calava all’orizzonte, Virna Lisi se n’è andata come personalmente battuta perché con
Panatta aveva perso la bellezza. Forse anche Alberto Moravia è uscito sul viale sentendosi battuto:
con Panatta aveva perso un eroe turbato.