1976 Ottobre 18 Il “triste” destino dei divi

1976 Ottobre 18 – Il “triste” destino dei divi

Se giochi male perché sei un brocchetto, la gente ti perdona per quella solidarietà che non si nega
mai all’”unterproletariat”, anche se stavolta sottoproletariato con il conto in banca come accade ai
professionisti del football. Se giochi male ma ci metti dentro sudore e coraggio, la gente ti assolve
ugualmente accreditandoti l’onestà. Ciò che noi italiani rifiutiamo è la razza dei calciatori artisti;
atteggiamento tanto più singolare dal momento che passiamo invece per popolo di scarsissimo
senso collettivo quanto ricco di talento, estro, ispirazione e fantasia. Sappiamo di essere congegnati
in un certo modo, ma non ci piace che qualcuno ce lo rammenti, pallone al piede.

La storia si è ripetuta in Lussemburgo dove quasi nessuno se la prende con un Rocca o con un
Mazzini, chi pretende da loro qualcosa?, bensì con gli Antognoni o i Causio. In realtà, pur avendo
strabuzzato in fantasia più di un’azione, la Nazionale deve loro gran parte di quel po’ di gol che ha
realizzato e di quelli che potevano essere. Antognoni ne ha eseguito uno e ha sballottato due pali;
Causio ha posto il suo ultimo passaggio in tre delle quattro reti e perfino nell’altra, con il corner.

Allora? Allora non basta perché Antognoni e Causio vengono giudicati non per quanto fanno ma
per quel che avrebbero potuto fare, il loro è il destino dei primi della classe che aspetti al varco sul
difficile, mica sulle routine buona per i somari. E’ il destino dei bravi in un paese che ha
organizzato il calcio sul divismo e, quando sei divo, o lo sei sempre o finisci nei circuiti di seconda
visione. Perciò nel caso di Causio, sei a seconda dei casi il “barone” o ilo “terrone” e, in quello di
Antognoni, il “bell’Antonio” o “l’ebetino”.

Per fortuna nasce ogni qualche generazione un campione quale Bettega e su quella anche un popolo
dissociato quanto il nostro trova la quiete dell’unanimità. Questa unanimità va mediata e riesce a
riabilitare un intero ambiente nel senso che, a guardar sotto la vernice, ci si accorge che il pubblico
italiano in fondo ne capisce e se ne intende. Lo stesso pubblico che ha venerato Gigi Riva senza
accettarlo mai interamente, non venera infatti Bettega eppure lo stima quasi più di Riva perché lo
intuisce “giocatore” dalla testa ai piedi. Con la sua disinvoltura e il suo istinto, con la signorilità e la
sua ebrezza, Bettega è la coscienza sepolta dell’italiano medio, troppo spesso abbruttito da brocchi e
semibrocchi a tal punto da perdere negli stadi il palato alla classe. Se penso ai Bettega e ai Graziani,
e perfino ai folletti di Antognoni e Causio, l’Inghilterra del 17 novembre a Roma non ha più l’aria
di quella corazzata sulla quale sono in molti a scommetter oggi ad occhi chiusi. Don Revie non è
l’ammiraglio Nelson, ma questa distinzione dipenderà soprattutto dagli umori di due goleador di
nerbo.

L’Italia è questa, che Dio salvi Bearzot! Lo deve aver garbatamente bisbigliato, tra migliaia di
emigrati italiani, anche quel distinto personaggio in grigio fumo di Londra: il granduca Giovanni, in
tribuna nella sua Lussemburgo di acciaierie, finanzieri, fiabe e calciatori dilettanti.