1976 luglio16 Una Olimpiade da consumare al video

Il Gazzettino, 16 luglio 1976
Una Olimpiade da consumare al video
Per Montreal e i suoi due milioni e mezzo di abitanti i Giochi sono soltanto un motivo di
polemica

Nostro inviato
Montreal, 15 luglio

Che differenza da Monaco! L’Olimpiade era allora nell’atmosfera di tutta la Baviera; oggi,
in una città di quasi due milioni e mezzo di abitanti, l’atteggiamento è di indifferenza o di ostilità.
Alle prese con un’inflazione che in quattro anni ha raddoppiato il costo della vita, la gente di
Montreal vede nelle Olimpiadi soltanto spreco, deficit, tasse da pagare.

Riverbero dell’opinione pubblica, i giornali non perdonano un colpo nel rinfacciare ogni
lacuna. Stamane ricordando che, avendo le Olimpiadi fagocitato i fondi pubblici, mancano a
Montreal molti alloggi sociali. «Mentre al villaggio ci si abbuffa, – denuncia un altro quotidiano –
in una scuola -sessanta bambini soffrono letteralmente la fame». Non a caso è diventata di moda
l’espressione «sinistrati olimpici».

Il paradossale della vicenda è che, nonostante tanto dispendio per i Giochi, Montreal arriva
alla inaugurazione con il fiato corto, anzi cortissimo. Lo si scopre in ogni dettaglio
dell’organizzazione che è impacciata. Lo si scopre soprattutto dando un occhio allo stadio olimpico,
che si può vedere completato soltanto nelle fotografie o nei modelli in gesso esposti in qualche
punto della città. Simbolo di tale ritardo nella costruzione è «le mat», sorta di fantascientifico albero
maestro che un giorno sovrasterà il cielo dello stadio e che per ora è arrivato soltanto alle
fondamenta, cemento e cavi di ferro.
Giocando sull’imperativo categorico che Montreal non doveva rinunciare alle Olimpiadi, gli

operai hanno via via scatenato scioperi e rivendicazioni che hanno portato il costo del lavoro degli
edili a cifre da ricatto, anche 3-4 milioni al mese. Lo stesso Lord Killanin ha ammesso l’altro giorno
di aver passato momenti di «inquietudine profonda» per la realizzazione degli impianti.

Tutt’oggi, a poche ore dall’apertura, si lavora giorno e notte in perenne straordinario. A
Monaco la prova generale dello stadio fu fatta con largo anticipo e la moquette accoglieva già da
tempo gli ospiti. Qui ci sembra perfino impossibile che ce la possano fare. Ruspe da tutte le parti;
detriti e calcinacci da far sparire; aiuole che vengono affannosamente scaricate dai camion e
piazzate, a fette prefabbricate di prato, lungo i marciapiedi freschi di levigatura. A due passi, la
recentissima stazione della metropolitana sembra ancora in cantiere.
Anche per questo l’unica vera preoccupazione degli organizzatori è stata di ridurre

l’Olimpiade ad un fatto ancora più televisivo di quanto non lo sia stata a Tokio, Città del Messico o
Monaco. Le reti televisive sono state privilegiate su tutto, a cominciare dai giornali che, perfino
nella distribuzione dei posti, sono come non mai finiti schiacciati dalle telecamere. Non si tratta
soltanto di un fatto speculativo, legato alla vendita dei diritti di trasmissione. C’è dell’altro e, in
particolare, il tentativo di esorcizzare attraverso il teleschermo a colori tutti i problemi precipitati in
questi anni sull’Olimpiade, dalla violenza al gigantismo di 26 sport, all’esplosione dei costi, alla
vanità di certe candidature.

L’ideale di questa Olimpiade sarebbe di giocarsi tutto in 16 giorni di gare a porte chiuse, con
il solo messaggio dell’immagine muta riprodotta in milioni di televisori. Un messaggio finalmente
scarno, disossato, dove il «primo piano» del fatto agonistico cancelli ogni angoscia: la zoomata

sull’atletica si fa dunque strumento psicologico prima che tecnico e serve, molto meglio del
giornale, a garantire il mito, uno standard capace di durare altri 4 anni.

cederanno alle immagini.

La nostra è del resto la civiltà del vedere e l’Olimpiade si adegua. Per 16 giorni le storie