1974 settembre 24 La rivoluzione culturale del dopo-abatini

1974 settembre 24 – La rivoluzione culturale del dopo-abatini

Impossibile un oscar del migliore tra Gianni e Sandrino

Nel ’70 dal Messico, Mario Gismondi scrisse: “Siamo andati a vedere in piazza Tatlelolco le stupende
pitture murali di Diego Rivera, il Raffaello messicano. Meno male che non c’era Valcareggi, sennò
lo sostituiva con Mazzola”.
Che bei tempi erano quelli! Si litigava al confine della banalità ma si litigava per dei campioni
sicuramente personaggi. Si discuteva di stile e nerbo, di classe e di etnos. Si spaccava il capello della
tattica. Attraverso quei due abatini, quei due grandi mezzi giocatori dell’ideogramma breriano, si
riusciva persino a risalire al vivaio, alla politica dello sport, al Coni, alla schedina, ad una tradizione
culturale d’illimitata fantasia e di scarse proteine.
Quei due campioni, Mazzola & Rivera, li abbiamo spremuti peggio dell’uva al torchio. Abbiamo
chiesto loro i vari tipi di vino pedatorio e loro, pur nell’antitesi dei temperamenti sono
miracolosamente riusciti a riempir sempre discussione e polemica.
Ora, per Jugoslavia-Italia sabato a Zagabria, ci ritroviamo d’un colpo con una Nazionale quasi senza
monografia. Un giorno, pur di farli star entrambi nel letto stretto del centrocampo, il Ct inventò la
staffetta, dimezzarli per non perderli: sembra passato un secolo. Per la prima volta da quando sono
attori della Nazionale, Rivera & Mazzola hanno ricevuto il libello di ripudio. Lo ha spedito nonno
Bernardini che dice di preferire i globuli rossi senza passato ai monumenti senza avvenire.
Su questa scelta gli ozi del calcio possono camparci per dei mesi. In Italia, essere innocentisti o
colpevolisti assomiglia infatti ad una vocazione. Figuriamoci quando le vittime sono due apostoli del
calcio. Su una cosa possiamo invece essere tutti d’accordo: con e dopo Zagabria invecchiamo un po’
anche noi, si chiude una lunga stagione, come se la Nazionale si rivolgesse al campionato: “Grazie,
non mi servono più”.
Rivera & Mazzola sono uguali al tramonto ma non lo sono stati in nulla durante la carriera in
Nazionale. Atipici e indefinibili entrambi, sono diversi fisicamente, nella velocità, nel passo, nel
dribbling, nella posizione, nel gesto agonistico, nel porgere gioco, nella resistenza alla fatica.
Averli messi uno in concorrenza con l’altro è dipeso da tecnici poco coraggiosi e da vezzo
propagandistico. In realtà un Oscar al migliore tra i due è Improponibile e ciò fa ricordare quanto
disse molti anni fa Humphrey Bogart dopo aver ritirato ad Hollywood la statuetta d’oro per il miglior
interprete maschile con “La Regina d’Africa”: “È inutile dare un Oscar ad un attore per la miglior
interpretazione dell’anno, quando gli altri attori hanno interpretato parti completamente diverse dalla
sua. Provate invece a far recitare tutti i concorrenti nella stessa parte, guidati dallo stesso regista”.
Discusi e a volte pomodorati ma mai derisi, Mazzola & Rivera, per turbe tattiche il primo per mollezza
psicofisica il secondo, vengono tolti di mezzo. E qua e là, quasi non si avverte rimpianto. La noia del
pubblico e l’albagia dei giovani calciatori fanno tabula rasa. Dicono che gli eredi sono pronti e gli
eredi si dicono degni. Come Antognoni per esempio la cui vita quotidiana si riassume in questo suo
racconto reso l’altro giorno alla Gazzetta: “Consumo i miei pasti alla mensa dello stadio. È una cosa
un po’ misera, ma ci si diverte, si sta in compagnia, è come vivere in caserma o in collegio”.
Dopo aver polemizzato una vita, in Nazionale e ovunque, contro lo spirito di gabbia dorata, di caserma
senza individualismo e di collegio senza libertà, Rivera & Mazzola trovano eredi di 20 anni che
soltanto in quello spirito si divertono.
Oltre che fine di un mito personale, è anche l’inizio di una rivoluzione culturale.