1974 ottobre 18 Perchè i nostri non vengono acquistati dalle squadre straniere?

1974 ottobre 18 – Perché i nostri non vengono acquistati delle squadre straniere?

Da lunedì, per una settimana buona, il calcio nostrano ritorna al mercato, che è un po’ il confessionale
dei dirigenti, al quale si arriva senza ossequio e senza arroganza, colmi soltanto di rimpianti o di
dubbi.
Anche questo mercato nano, di fine ottobre, è un mercato autarchico dove l’unica moneta in
circolazione si chiama lira e dove valori sono saldamente legati al metro interno. Mentre per il
parigino “L’Equipe” può titolare la prima pagina, come ha fatto ieri, con: “Jairzinho marsigliese
debutta contro il Monaco”, noi possiamo al massimo fingere, come accade danni, che Gigi Riva sia
in vendita.
Il nostro sa essere a volte il più ridicolo Paese del mondo. Anche il problema degli stranieri lo
dimostra. Le federazioni fanno tutte capo al Coni ma ognuno sceglie la propria morale sportiva: così,
mentre basket e rugby incettano stranieri a decine, per il calcio l’importazione rimane ancora
immorale. Non solo: mentre per un basket da miliardari le difficoltà valutarie non esistono, pare che
la bilancia commerciale dell’Italia debba dipendere esclusivamente da una decina di vedettes
calcistiche che potrebbero trasformare il nostro da campionato sottosviluppato a campionato di classe.
Chi ha perso poi anche l’ultimo velo del pudore ha sempre contrabbandato il no agli stranieri con le
fortune della Nazionale. Viva l’autarchia, urlavano i demagoghi dopo il secondo posto di Città del
Messico: ma non hanno più avuto il fiato d’insistere dopo l’eliminazione di Monaco.
I luoghi comuni annaffiano i cervelli come gramigna. Andiamo di tabù in tabù, senza adeguare le
scelte ai tempi. E i tempi sono invece inflessibili nel ridere di noi. Sul tema degli stranieri, una volta
si diceva per esempio che noi potevamo importare assi ma non importare soltanto perché il nostro era
il Paese di Bengodi, pronto a pagare meglio che in qualsiasi altra parte del mondo: a venire in Italia,
gli stranieri facevano cioè un affare; ad andare all’estero, i nostri giocatori ci avrebbero rimesso e
basta.
Tutto ciò era sacrosantamente vero ma non lo è più. Tra acquisto e ingaggio, Cruyff è stato pagato un
miliardo dal Barcellona; Neeskens mezzo; Netzer 700 milioni dal Real; il trentenne Jairzinho 250 dal
Marsiglia. Per i campioni con il marchio di garanzia, all’estero di paga molto, si paga moltissimo,
come e forse più che in Italia visto che nemmeno il goleador numero uno degli anni ’70 Riva, è mai
riuscito a valere sul serio un miliardo in contanti, come quelli pagati a giro-assegno, non come
scambio-giocatori, dal Barcellona all’Ajax e a Cruyff.
Se i prezzi all’estero e gli ingaggi sono dunque saliti vertiginosamente, perché i nostri “assi” non
vengono richiesti all’estero, nessuno? Forse perché, come sostiene un amico, in Italia “ci sono pochi
campioni e moltissimi divi”. Fra l’altro, aggiungo, divi che non hanno dimensione europea. Sul piano
propagandistico, mentre un Cruyff potrebbe infatti fare tranquillamente i “Carosello” alla Tv italiana
ed essere per l’industria un veicolo utile, quanti dei giocatori italiano potrebbero presentarsi sui
teleschermi o sui giornali di Francia, Spagna eccetera e valere come strumento di vendita? Nemmeno
Sandro Mazzola, nonostante la Grande Inter degli anni ’60, riuscirebbe forse a vendere il “suo”
cioccolato lontano dal tifo di casa nostra.
Non c’è nessuna norma federale che impedisca il trasferimento dei giocatori italiani all’estero. Basta
che qualcuno si presenti all’Hilton e chieda: poiché avrà monete più in forma della lira, gli daranno
anche il bacio in fronte. Che nessuno si presenti, dovrebbe consigliare modestia a tutti noi e, anche,
la fine di qualche tabù d’altri tempi.