1974 giugno 10 Zoff e la sua pergamena di 1097 minuti

Il Gazzettino – 10 giugno 1974

Zoff e la sua pergamena di 1097 minuti

I mandanti e il sicario

Dal nostro inviato

Stoccarda, 9 giugno

Marco è un nome inflazionato ma gli piaceva e non ha rinunciato a darlo al primo figlio, di
cinque mesi: sia pure per evitare il contagio della moda, un friulano non può rinunciare alle proprie
opinioni, le opinioni di un friulano sono chiodi, e Dino Zoff è nato a Mariano del Friuli, «attenzione
– precisa subito – in provincia di Gorizia».

Zoff ha una statura normale, 1.83. Cammina che pare debba fare un fioretto, con pigrizia.
Gli occhi chiari sono vivi al secondo sguardo: al primo impatto, rammenta uno dei sette nani,
Pisolo. Le labbra sono socchiuse, di chi deve aver avuto problemi alle adenoidi e che ronfa a bocca
aperta la notte.
Beh se questa è la faccia – uno pensa subito – mica dev’essere molto sveglio sto ragazzo di

32 anni suonati. Ma la prima impressione si sa che molto spesso non è quella buona. Se qualcosa
caratterizza Zoff, sono infatti proprio i riflessi, di portiere tra i pali, e la maturità, di professionista.
1097 minuti consecutivi senza gol in Nazionale sono un valore collettivo, i mandanti sono più
d’uno: il sicario è però lui, occhi, reni e mani, soprattutto.
– Che significa per te essere titolare al Mondiale?
«Non so, è come se tu con sette articoli diventassi direttore del “Times”».
– E i 1097 minuti?
« Sono tanti, questo si, ma non è un’emozione particolare».
– E quale lo è allora?
« Vincere a Wembley. Quella sera a Londra me ne sono andato a letto e ho gustato qualcosa
di raro: avrei voluto accanto una persona cara, per parlarne assieme. Ma dopo, il giorno
dopo, era già tutto finito. Ora non mi rimane dentro più niente».
Se uno scrive Zoff nove volte su dieci gli appioppa subito a fianco l’aggettivo freddo o
glaciale o tranquillo. Il suo cliché. Nelle bagarre del catenaccio non è che la testa gli rotoli sul prato,
non c’è pericolo che la perda. Sarebbe esagerato giudicarlo, del resto, un portiere di ghiaccio,
l’edizione perfino raffreddata di Giuliano Sarti. Né ghiacciato né bollente insomma: in area, Zoff
porta una temperatura media, tiepida, buona per i bullonati che gli stanno di fronte, gli amici di
mischia, che consiglia con autorità ma ai quali in tutta la carriera non si è mai rivolto con una
parolaccia o una bestemmia.

Zoff ha un «piede buono», per usare la sua frase: in allenamento, è un martello sui calci di
rigore, nel batterli, intendo, anche se nessun allenatore gli ha mai affidato in campionato quello
specialissimo tiro da undici metri. Lui i penalty li deve guardare in faccia e possibilmente parare.
Zoff è sempre stato portiere, solo portiere, nient’altro che portiere. Una vocazione e il termine non
esagera nulla. Ha cominciato quanto aveva 4 – 5 anni, in cortile, per strada, vestito da messa o sul
fango, gli piaceva soltanto far quello, buttarsi a interrompere un tiro.

Di tiri ne ha visto oramai di tutti i colori e adesso quelli che lo incuriosiscono di più
appartengono a Giovanni Cruyff d’Olanda (per la velocità e i dribbling non comuni) anche se la
razza dei goleador spaccalegna è una altra, quella di Riva e Boninsegna e Chinaglia.

Non si sente sazio di pallonate: «mi piacerebbe smettere a 50 anni», sorride mentre tra le
mani rigira un vecchio giallo di Mike Spillane, lo autore che lo tiene più sveglio. Ma qualcosa c’è

che del calcio italiano l’ha stancato, e molto anche: gli arbitri di quest’anno. Per certi rigori che
hanno premiato simulatori, cascatori, ballerini d’area, furbacchioni e dritti. «E’ una cosa che mi
demoralizza – scuote il collo Zoff – e che premia l’anticalcio. Un attaccante se rischia il tiro ha il
cinquanta per cento delle probabilità di segnare, se si butta in area ha invece il novanta per cento
delle probabilità di ottenere rigore: e allora sceglie la scena, cade, protesta, condiziona gli arbitri.
Questo anno ho assistito veramente a delle farse e non mi riferisco naturalmente solo alla Juve».

Zoff è perfezionista, onesto. Si allena moltissimo, fatica. Gli piacciono le cose pulite, che
abbiano il sapore della tecnica. Non causalmente il suo ideale di portiere è Gordon Banks l’inglese
dagli occhi a mandorla: lo giudica il migliore «perché sa giocare a football», non è cioè un corpo
separato dalla squadra, copre tutta l’area di rigore, para meglio perché indovina il gioco.
Il mangiare di Zoff è monotono. I suoi vini sono il Tokai e il Merlot. Preferisce i bianchi e

«il vero bianco – sottolinea – esiste soltanto nella fascia tra Cividale e Lucinico». Con i vini, gli
scorre dentro la nostalgia del Friuli, della sua lingua, della gente «perfino troppo buona – osserva
aggiungendo subito con prudenza – almeno un tempo era così». Un giorno o l’altro finirà per Dino
Zoff la conta dei minuti senza gol: ma i 1097 di oggi sono già una pergamena. Sia pure pergamena
del catenaccio.