1973 ottobre 29 Rocco contro corrente

1973 ottobre 29 – Rocco contro corrente

“Te possino…”: il funambolico destro di Spadoni si spiaccica sulla traversa, ritornando
in campo. Due centimetri più giù e sarebbe stato 2 a 2. Scopigno riduce a mozzicone
una sigaretta appena accesa; Rocco molla una carezza all’orecchio destro. La gente sa
che manca ancora mezz’ora alla fine della partita ma sente che, su quel rombo di
legno, il risultato dormirà per sempre. E il Milan vince pur sprovvisto di due altari,
Rivera e Schnellinger.
Il Milan ha vinto tre volte: per la classifica, per un tipo di gestione che si stava
facendo rovente e per Pierino Prati. Con questo 2 a 1 smorza infatti un mare di pissi-
pissi – bao-bao. Ma, nei panni di Buticchi, darei stasera un premio speciale a Nereo
Rocco. Questo vecchiaccio che vive oramai il calcio con l’aria del curato di
campagna, sorprende tutti quando lo danno per sorpassato; inventa uno strano Milan
quando lo credono capace soltanto di tirare a campare. Rocco deve aver pensato
molto a questa formazione; è andato contro corrente. Direi una baggianata sostenendo
che il 2 a 1 del Milan è soltanto vittoria tattica. Ma sono convinto che l’intuizione di
Rocco ne valga almeno il settanta per cento.
Rocco non aveva Rivera. Tutti hanno pensato a Bergamaschi, per certi slalom leggeri,
tocchi sottili, posizione non afferrabile. Beh, Rocco non ha dato retta a chi gli aveva
persino spianato la strada solennizzando: “Bergamaschi può fare il Rivera”.
Rocco è andato sul nuovo ritornando indietro, al suo passato. Ha preso cappello,
mandando in campo un Milan più provinciale che metropolitano, niente stile e tutto
nerbo. Ha preferito Bianchi, anni 30, a Bergamaschi, anni 23. Ha costruito un
centrocampo da fortificazione, con Sogliano, Benetti e Bianchi: tutta gente che,
persino quando è bolsa come Benetti, rulla in campo lasciando impronta.
Stile a parte, Rocco aveva un altro problema: contenere Prati. Il presidente Buticchi
deve avergliela chiesta in ginocchio una marcatura speciale vista l’inguaribile
nostalgia di San Siro per Pierino. E Rocco ha fatto il proprio dovere, con una
marcatura a ostacoli successivi. Anquilletti gomito a gomito, Turone in seconda
battuta quasi esclusiva e, se ci fosse mai stato bisogno di un terzo tackle, Zignoli
pronto a spostare la caviglia.
Così sistemato, il Milan è andato in campo con la coscienza tranquilla, pronto a un
match di suoni assai acuti. Ha avuto anche una buona spintarella, nel senso che un gol
nei primi undici minuti ti spiana anche la trasferta più indigesta.
Sarà stato a una ventina di metri dalla porta Chiarugi quando ha calciato con l’interno
sinistro la punizione. In queste battute, Chiarugi può fare molte cose visto che
possiede la bomba o la carezza, il tagliatino o la botta di shoot. Questa volta Chiarugi
ha copiato Corso: solo che la sua foglia mica è morta. S’attorciglia sopra la barriera, fa
un’ellisse verso l’incrocio dei pali: e però è più sveglia e più rapida del tocchetto molle
di Corso.
Ottenendo prestissimo l’1 a 0, il Milan può andare in trincea, che predilige, mentre la
Roma è costretta al forcing, per il quale non ha gli uomini giusti: Cappellini e
Domenghini non ne hanno infatti più l’età; Prati ha la tendenza comune a certe partite
di Riva quando la calamita irresistibile parte dal dischetto del rigore, senza
movimento e senza stordenti triangoli.
Per anagrafico scompenso, la Roma ha poi dei ragazzini di primo pelo in difesa: come
Rocca, 19 anni, e Peccenini, 20 anni. Con la squadra costretta a cercare il pareggio,
gli spazi si sbracano e il contropiede del Milan si fa un’unghiata, senza commozione
per i ragazzi.

Tatticamente parlando, il 2 a 0 del Milan diventa aristotelico, limpido come il sole,
dopo una ventina di minuti appena. Bigon si sgancia (non a caso), Biasiolo s’avventa
nel corridoio libero a destra (anche qui non a caso) e Bianchi si infila (ancora non a
caso) nell’imbuto centrale lasciato da Bigon. Peccenini, anni 20…, lascia scorrere il
cross davanti alla punta della scarpa e Bianchi tocca al volo, con sinistro, in rete.
Scopigno parla di regalo e, in un certo senso, lo è. Pesante, poco agile e poco veloce,
come potrebbe se no Bianchi andare in gol con tanta souplesse?
Il Milan vince, una punizione e un contropiede. “Il calcio non è giusto”, sento dire in
tribuna. Per la verità, in quel momento, due gol di differenza tra Milan e Roma non ci
stanno. Anche perché Benetti, in teoria cardine, banalizza quasi tutto, con errori che
obbligano al sarcasmo: “E sarebbe questo il mediano della Nazionale?!”.
La Roma avrà molti difetti ma non quello dell’inesperienza: quattro attaccanti su
cinque (Domenghini, Prati, Cappellini e Cordova) sono vecchi reduci da Milano. Loro
sanno, meglio di tutti, che il risultato o lo raddrizzano parzialmente nel primo tempo o
non ci sarà più nulla da fare.
La Roma dunque spinge forte verso il 2 a 1. A reggerne la spalla buona è soprattutto
Prati. “A Pierino, faie vedè chi ssei!”. Pierino macina peggio di un frantoio: schiaccia
difensori come olive. Ogni volta che si sgancia verso la porta, ne sposta un palo. La
sua potenza è intatta; la sua elevazione pure. Ma, troppo al centro, non riesce a
liberare il piede per piazzare a’ botta.
Otto minuti prima dell’intervallo, non lo può d’altra parte più fermare nessuno. L’aria
di Roma lo ha pure smaliziato: il 2 a 1 nasce da uno sghiribizzo di fantasia che forse il
Pierino della nebbiosa Lombardia non avrebbe nemmeno pensato. Non potendo
girarsi a calciare in porta, Prati solleva infatti il pallone davanti a sé, quasi sul fondo
campo, e lo sforbicia in rovesciata, con la precisione di un Sivori e l’atletismo di un
Parola: un passaggio così sorprende tutti, fuorché Cappellini che lo tocca, con molta
bravura, da non più di un metro da Vecchi.
Sì, sul tabellone il gol viene assegnato a Cappellini: eppure, in casi come questi, la
segreta verità del football dice che padre del gol è Prati. Leggo nelle spalle strette di
Rocco un lampo di rimpianto: Buticchi dice che 620 milioni sono stati molti, ma a
Rocco che gli può importare di 620 milioni non suoi se non ha più un panzer come
Prati?
Sul 2 a 1 la partita ricomincia. Rocco e Scopigno sono la luce e il buio. Non si
assomigliano in nulla, tranne che nell’allergia a prendere gol da polli. Perciò li
etichettiamo entrambi di difensivismo. Ma il secondo tempo di Roma-Milan obbliga
Scopigno a togliere un terzino (Peccenini) per un attaccante (Spadoni).
Mollaccione, di sedere basso, Spadoni è però capace di numeri alla Altafini. Come la
traversa: uno stop volante di sinistro e una battuta, di destro, con la gamba portata
come bastone di golf nell’aria. Non ha fatto altro Spadoni, traversa a parte, ed è stata
soprattutto questa la iettatura di Scopigno.
Barricato in area, il Milan ha sganciato palloni in tribuna, persino con Chiarugi e
Benetti. La Roma ha spigolato inutilmente il 2 a 2, con trenta gambe in pochi metri
quadrati dove c’è sempre un polpaccio, una natica o il fischio dell’arbitro che ti mette
lo stop. Barbaresco è un vino di quelli che piacciono a Rocco. Come arbitro,
Barbaresco ha invece fatto discreta giustizia, soprattutto quando le vibrazioni nervose
stavano a una spanna dal pugno in faccia e anche se uno spintone di Anquilletti a Prati
mi è parso molto sospetto.
Senza Rivera, il Milan è un altro Milan, in tutti i sensi. Che abbia vinto a Roma, dopo
la rapina al Cesena e lo 0 a 0 con il Rapid, deve d’altra parte valere per forza qualcosa.
“Ma anche la Roma ha fatto una buona partita”, ha detto un collega milanese

scendendo dalla tribuna. “Te possino…”, lo ha fulminato il venditore di caramelle. Ed
ha pure ragione! Che ne fanno i romani di buone partite, se buona partita significa
anche perdere da fessi?