1971 maggio 18 Operazione ’71

1971 maggio 18 – Operazione ’71

Muri, cancellate, alberi e piedistalli dell’Olimpico portavano domenica scorsa tutta una sequela di
scritte, coniate con spray quasi indelebile, rosso mattone e nero. “ Lenzini, la tua vergogna supera
ogni limite.” E’ il presidente della Lazio, Lenzini. Presidente di una società che va in B con un
incasso abbondantemente superiore al miliardo; con una squadra da metà classifica. Era fuggito
prima che la sua “ partita della B ” fosse finita. Ma gli ultras del tifo non lo sapevano. E il coro
filtrava tra le cancellate degli spogliatoi: “ Lenzini, Lenzini, ridàcce li quattrini ”.
Sessantenne, imprenditore edile, radi capelli, naso a peperone, piccoletto, Lenzini sta da mesi
nell’occhio del tifone romano. Polemiche infartali: cessioni chiacchierate ( Chinaglia e Massa);
acquisti perduti per scarso tempismo, come Bedin a novembre; un passivo di circa 800 milioni. La
“piazza” tutta contro il presidente e tutta per Juan Lorenzo, l’ argentino imbottito di pratiche
magiche, di giochi scaramantici, come domenica scorsa quando, durante l’intervallo, fece cambiare
il colore delle maglie.
La retrocessione, dunque, come tomba per un dirigente. Non tanto tomba finanziaria, perchè il
mercato può sanare molti depauperamenti. Piuttosto, tomba psicologica, personale, di uomo. Ecco,
nemmeno lo scudetto riesce a denudare così, su pelle, i protagonisti del football. Lo scudetto è
potere, potenza, privilegio, selezione, superomismo. Chi vince, snobba, gigioneggia, opprime; chi
perde, supera il trauma con un violento gusto del futuro: della stagione che ritornerà, del
revanchismo, degli acquisti che cancelleranno le lacune tecniche. Chi vince e chi perde, nello
scudetto, resta padronale, high society, vertice.
La retrocessione no. La retrocessione del football raramente è fatto “ sportivo”. Sempre più spesso
diventa episodio diffamante, che interessa le coronarie peggio del cervello e dei muscoli. La
retrocessione è faida, umiliazione, ossessione per miliardari che si sentono più poveracci dei
poveracci autentici. Lenzini, sotto questo aspetto, non è solo. Proprio domenica scorsa, poveracci si
sono sentiti anche due presidenti, Garonzi & Farina.
A Verona, Garonzi ha pianto, in mezzo al campo, subito dopo l’ultimo fischio, mentre la sua
eccentrica camicia si mischiava alle maglie dei giocatori: gli stessi giocatori ai quali, agli sgoccioli
della Gestione Lucchi, Garonzi aveva rimproverato “ ma allora, siete mafiosi? Perchè non dite
quello che pensate dell’ allenatore? ” E’ un uomo di 60 anni che s’è sciolto; un miliardario; un
commerciante che vende 2000 Fiat all’anno. La retrocessione è il muro del pianto nostrano, in un
calcio che sa essere contemporaneamente sordido e spontaneo, ubriaco e sobrio. Come Garonzi,
Farina: oltre 20 anni più giovane del “ commendatore ”, ma come lui sfatto, sbriciolato dai nervi.
Prima della partita mi aveva detto: “ Mi lascierei tagliare un dito della mano pur di essere
matematicamente in A, questa sera ”. Lo ripetè tre volte per convincermi che parlava sul serio; che,
alla mutilazione, era psicologicamente pronto! La retrocessione, cioè la sconfitta di un anno, scava,
ribalta i valori, tutto.
Garonzi & Farina fotografano il duro curriculum di Verona e Lanerossi. Del Veneto che, uscito dalla
crisi d’inverno ad una nobile primavera, conserva il grande football, il football dei primi 13 clubs
d’Italia.
Proprio per non dover…puntare le dita fino agli ultimi 90 minuti di campionato, l’operazione ’71
diventa subito fondamentale. Vivaio e mercato; pulizia finanziaria e programmi seri: su tali
premesse, a nessun pubblico è più consentito il linciaggio.