1971 giugno 1 Senza Merckx, disperatamente soli

1971 giugno 1 – Senza Merckx, disperatamente soli

Negli anni ’50, Felix Levitan scrisse sull’Equipe: “ Ho sentito in Italia molta gente esprimere
sorpresa di fronte al tifo dei miei connazionali per Fausto ( Coppi, ndr)…come se fosse possibile
non adulare Fausto, non apprezzarne le sue qualità di uomo più ancora di quelle del campione…Noi
prendiamo Coppi com’è, e seppure ci spiace che egli non sia nato in terra di Francia, non ne
facciamo tuttavia un affare di Stato.
Poco c’importa che Coppi trionfi sui nostri campioni, dal momento che è il migliore e che la legge
dello sport non considera che il risultato ”.
Ciò che l’ “ illuminista ” Levitan pensò di Fausto, va trasferito oggi su Eddy Merckx, che ha un
unico “ torto ”; quello di essere nato a Terveuren, in Belgio, e non in qualche paesino della pianura
veneta o bergamasca o toscana. Il torto di possedere un cognome di sei lettere, con cinque
consonanti.
Per tutto il resto lo sentiamo come uno di casa nostra. Campione “ di tutti ” attraverso la mediazione
dell’unico esperanto che il modo riesca, qualche volta, a parlare: lo Sport. I Francesi urlavano
“Fostò” ; noi diciamo “ Eddy ”. E siamo un po’ tutti giunti al punto che pronunciamo Eddy secondo
inflessioni dialettali senza nostalgia per i Toni o Bepi o Gino del vivaio utarchico.
Già da un pezzo Merckx è “ italiano ” per chi sa onorare la fatica atletica, la poderosa umanità del
ciclismo; per chi non legge il passaporto di un campione prima di sentirsi “ spettatore ” dello sport.
Ma ora è l’asso di Terveuren. E’ questo Giro, che di “ mobile ” ha soltanto le telecamere, a
ridicolizzare il pantofolismo di chi aveva chiesto di non far correre Merckx perchè Merckx avrebbe
ucciso il ciclismo.
La verità è un’altra. Non l’asso ma i mediocri logorano uno sport. Non le medie stressanti ma le
lunghe sieste del gruppo spremono il ciclismo. Non le performances di un superman ma la
quotidiana noia del gregarismo scarnifica l’interesse spettacolare del Giro.
Se ne stanno accorgendo finalmente tutti. Gli organizzatori che, oggi, sarebbero disposti a pagare il
doppio di quanto paga il Tour per avere in classifica quel nome di cinque consonanti. I giornalisti,
costretti a reportage senza ispirazione. Adriano De Zan al telemicrofono del quale si negano, per
pilatismo, i “ grandi ”. Il pubblico, intristito da una passerella di ombre.
Gli stessi professionisti del pedale, “ disperatamente ” soli da quando Merckx disse no al Giro.
Il Giro ripedala domani dopo 24 ore di riflessione.
Solo uno svelto “ mea culpa ” può frenarne il declino.
Il ciclismo italiano rischia di finire come fenomeno pubblicitario e, quindi, di selezione atletica.
Resterebbe movimento d’opinione, naturalmente “ merckxista ”.