1969 settembre 23 Heribero e Scopigno si sono dovuti arrangiare

1969 settembre 23 (Il Gazzettino)

l’Inter (senza Corso) e il Cagliari (con Greatti) hanno giocato 90’ sperimentali
Heriberto e Scopigno si sono dovuti « arrangiare »
Quasi un obbligo per la Fiorentina il « giocare bene » – I giocatori di Carniglia non sembrano
molto convinti che la « Vecchia Signora » sia uscita forte dal mercato

Il campionato zoppica. L’unica cosa divertente a San Siro è stata la polemica anti-meridionalista di
Oronzo Pugliese (pugliese verace, di Turi), che ha dichiarato: « Ce l’ho con questi meridionali che
emigrano ai Nord! Dopo sei mesi, si sentono già milanesi e fischiano il Bari ». Per i sociologhi,
necessità fondamentale di chi abbandona la propria terra è l’« integrazione » nella nuova; per
Pugliese, si tratta di malcostume fastidioso. Il tifo non andrebbe mai « integrato ». Polemica a parte,
Nestor Combin rabbioso match-winner: e ciò è molto, molto importante per Rocco. Eppure un
Milan, meglio Gianni Rivera, che si è sentito (come ha scritto Angelo Pinasi) « appagato » dal
poker infrasettimanale di Brescia. Se cominciamo ad appagarci dopo 90 minuti di campionato, ci
sarà da divertirsi!

A Napoli, per esempio, Pesaola non si è divertito, né ha soddisfatto il pubblico la sua Fiorentina
aristocratica, che sembra patire l’« obbligo » di vincere sì ma giocando bene, per lo spettacolo,
eredità dello scudetto ancora fresco di vernice per la squadra. Una squadra che la stagione passata
esaltò una Città e che, nella stilizzata andatura di Merlo Amarildo e De Sisti, sembra aver
interpretato esattamente il raffinato gusto estetico di Firenze, persino della sua « intellighenzia » più
scettica e meno disposta alle verità elementari del calcio. Pesaola non abbozza ovviamente: per lui
esistono solo muscoli, schemi e undici personaggi. Ma il dogma del « giocar bene », concetto da
neutrali non da tifosi, potrebbe creargli qualche disagio interno (dirigenti, clan, stampa locale,
eccetera). In ogni caso, guardati in prospettiva strettamente pratica, i due punti « catenacciati » a
Napoli, testimoniano che, almeno in trasferta, Merlo & C. sanno anche ripudiare l’« intellighenzia »
(di Firenze) per la classifica (del campionato).

Il campionato zoppica, dicevo. Nemmeno Scopigno ed Heriberto possono praticare trionfalismo.
Il gol di Vitali (il « centravanti di Farina ») a Cagliari rivela una vittoria mai globale. Né un penalty
di Bertini e la rete ombrosa di Facchetti a Palermo, evitano incrinature al risultato dell’Inter. Solo
che per Cagliari ed Inter esistono attenuanti serie. Heriberto imposta la squadra sulla regia di Corso
ma un calcione-di-Coppafiere glielo nega alla trasferta di Palermo, perciò HH2 costretto a spezzare
in due Luis Suarez, prima alla regia d’attacco poi a quella difensiva come « libero ». Pressappoco
per il Cagliari: Scopigno, in precampionato, aveva frettolosamente sconfessato Greatti, per lentezza,
narcisismo tattico, scarso nerbo. Ora riscopre un vuoto « di pensiero » alle spalle di Riva e ridà una
maglia a Greatti, dichiarato incedibile venerdì scorso. Un infortunio ed un ripensamento tattico
hanno dunque dato a Cagliari e Inter una faccia in parte sperimentale. Sa di logica insomma che le
due vittorie abbiano espresso più fatica di quanto si supponesse a priori.

Se il campionato zoppica, lo dobbiamo soprattutto alla Juve. Tra un paio di giorni riceverò
lettere d’insulti che mi qualificheranno irrimediabilmente di « fede bianconera », ma insisto nel dire
ciò che fu detto già l’anno scorso: perdere la Juve subito (in classifica da scudetto, s’intende) è una
delle peggiori jatture per l’anima popolare del campionato. Ci sono squadre che fanno cronaca e
squadre che fanno storia. La Juve ha fatto storia: e lo si riconosce sempre, non appena la « Vecchia
Signora » del calcio italiano sembra reinserirsi ad un livello rappresentativo. Sono bastati alcuni

risultati dignitosi in precampionato e 4 gol al Palermo per ridare al sopito tifo juventino tutta la
verve dei « grandi momenti ». Domenica scorsa a Verona, ho incontrato decine di pullman
« sportivi » con targa Udine, Trieste, Belluno, Trento, eccetera: tutto il serbatoio triveneto
fortemente presente, organizzato. Il fascino delle decadute che regalano la sensazione di una nuova
primavera. E non c’è dubbio che la Juve debba vincere la decadenza di scudetti sempre più rari e di
una lacuna oggi grave: la Coppa dei Campioni, routine per Inter e Milan.

Ma può tenere classifica la Juve di Verona? Non credo. 1) un portiere in fase calante; si capisce
l’insistenza per Zoff al mercato; 2) Salvadore sprecato a terzino quando sarebbe un libero molto più
produttivo di Castano; 3) l’usare assieme Leoncini e Del Sol; 4) l’equivoca soluzione ai « gemelli »
Vieri e Haller; 5) l’epurazione di Zigoni che non trova posto nemmeno il giorno in cui manca
Leonardi. Conclusione: alcune tare vecchie e alcune incertezze fresche. Carniglia non ha lo
squadrone fatto, ma il materiale per resistere in classifica sì. E resistere non significa vincere lo
scudetto: può significare almeno l’arrivarci a un paio di punti…

Piuttosto ho raccolto una strana sensazione dopo la partita di Verona, a colloquio con alcuni
giocatori della Juve: non credono che dalla campagna acquisti sia uscita una « grande Juve », sono
cioè i primi a rendersene conto. Un tarlo alla concentrazione. La psicologia ha suggerito infatti che
per un individuo-che-lavora vanno prodotte tre spinte: denaro sufficiente, senso di appartenenza
all’entità di cui si fa parte, e « self-realization » come possibilità di esprimersi compiutamente
secondo capacità. Il calciatore non sfugge alla impostazione, perché è pure lui « lavoratore ». Non
mi è parso, così ad occhio e croce, che i titolari della Juve avvertano oggi nettamente « senso di
appartenenza » e speranza di « self-realization ». Il salto da Heriberto a Carniglia è forte. Ma il
problema d’ambiente riguarda ora Carniglia.