1966 febbraio 21 Gei ne è entusiasta: la difesa… del Napoli

1966 febbraio 21 (Supersport)

Gei ne è entusiasta: la difesa… del Napoli

BRESCIA – Renato Gei, durante la settimana, aveva avuto degli incubi. E in ognuno apparivano
con facce di draghi e piedi d’oro, le sagome di Altafini e Sivori. Alla fine dei novanta minuti, Gei
scrollava la testa, mezzo sorpreso, mezzo irritato: « Ogni volta che ho sentito parlare del Napoli, si
faceva soltanto i nomi di Altafini e Sivori: eppure oggi il Brescia ha dovuto lottare contro la…
difesa del Napoli, contro una difesa splendida, pulita e forte. Questa è la verità: togliete al numero
dei gol subiti dalla squadra di Pesaola le quattro reti con Milan e provate a contare: è la miglior
difesa del campionato, senza discussione! ». Nel giudizio di Gei c’è quasi tutta la verità della
partita. Un Napoli che non ha premeditato il catenaccio (lo prova la preferenza a Postiglione
piuttosto che a Montefusco), ma un Napoli che per lunghissimi minuti è stato costretto a serrare i
gomiti nell’angolo del ring bresciano. Quella di Gei non è però tutta la verità, perché, centoventi
secondi dalla fine, José Altafini riapparve un incubo: con un tiro che Brotto deviò urlando e, subito
dopo, con una traversa « interna » colpita di ginocchio! Un ginocchio in allenamento pre-Milan…

E’ stata l’unica, autentica grande occasione del Napoli per infrangere il muro zero a zero.
Un’occasione del genere, quando capita a pochi secondi dal fischio finale, determina il risultato. Lo
fissa. Ma non sarebbe stato un risultato « allo specchio ». Allo specchio dei novanta minuti,
intendiamo. Non è stato il Napoli carico di umori e di tensioni sotterranee che aveva chiuso la
« partita Sivori » contro la Juventus. Non è stato neppure il Napoli che all’allargatissimo
Fuorigrotta aveva rimontato un gol al Bologna più effervescente dell’anno, senza poter contare, per
raptus influenzale, nemmeno sul quaranta per cento dei polmoni di Sivori, ma soltanto sul cento per
cento del suo orgoglio di « dio napoletano ». Non è stato un grande Napoli, la partita non è stata
eccelsa, le palle-gol si sono contate. Ma il Napoli, che ha scoperto nel grigiore del pareggio il lampo
della sconfitta interista e quello del pari imposto dalla Spal al Milan, ha degli alibi. Qualcuno
d’importanza determinante. Il primo si chiama Sivori. Soltanto a Brescia si può dire che la malattia
del cabezon abbia compiuto il suo corso. Anche lui l’ha ammesso negli spogliatoi, sottolineando il
fatto che, da domenica, e domenica ci sarà il Milan, l’alibi cadrà, non avrà più peso per lui. Contro
il Brescia lo aveva ancora. Carlo Ingarami, l’occhialuto medico della squadra ci ha detto: « Sabato
gli ho praticato una iniezione di Cortigen, che è un estratto di corteccia surrenale, per tirarlo su. La
stessa iniezione che gli avevo fatto prima della partita con il Bologna, ma, cosa vuole, una influenza
si può tentare di assorbirla, come infatti abbiamo fatto, ma non la si può cancellare in pochi giorni:
sul piano agonistico questi miracoli non possono accadere ». E infatti, proprio sul piano agonistico,
Omar Sivori non ha potuto materialmente girare a pieno ritmo. Ha girato al cinquanta per cento.
Forse contagiando per « simpatia nervosa » qualche altro napoletano. Lo straccio della malattia-
Sivori è il primo alibi alla partita un po’ strascicata del Napoli soprattutto alla carestia di situazione-
gol, che si sono compendiate, lo ripetiamo, nell’unica doppia bombarda dell’Altafini-finish.

Il secondo alibi, altrettanto influenzante del primo, è di natura psicologica. Il Napoli non giocava
contro il Brescia, ma contro il… Milan! Non ci voleva molto per capirlo, bastava aver sentito certe
preoccupazioni eccessive della vigilia, certi silenzi, certi « battiti-lingua » inesistenti sulla partita
contro Sormani piuttosto che su quella contro De Paoli. E’ un dato che il vero Napoli sapeva e sa
benissimo che il suo ruolo, la sua dimensione definitiva sono quasi del tutto legate alla partita di
domenica prossima. All’appuntamento decisivo mancava il salto di un ostacolo, il Brescia. Il Napoli

aveva tanta paura del Brescia. Sentiva che tutti, quasi tutti erano con i fucili spianati e le mascelle in
ferma, per scattare e schernire. Il Napoli temeva troppo il tonfo a Brescia e lo temeva soprattutto
con la paura di chi si sentiva strappare la possibilità di arrivare al Milan con le mani (della
classifica) pulite. C’era anche l’ombra irrazionale, ma viva, del ricorso storico: la sconfitta per
quattro reti a una subita nella scorsa stagione quando ancora lo Squadrone del Sud veleggiava nella
tempesta della B. La catastrofe di quel giorno, fra l’altro, aveva portato il marchio di Maestri, autore
di due reti. E proprio contro il Napoli… di serie A, rientrava Maestri al posto dello stiratissimo
Petro Manfredini. Era insomma per il vuoto Sivori e la preoccupazione (da scudetto) del Milan, una
partita difficilissima per il Napoli. L’ha superata dapprima con il nodo alla gola poi con una
maggiore distensione fino quasi a vincerla di rapina con una ginocchiata brasiliana di José. Ci
diceva che Mario Corso, immalinconito dalla sconfitta di Catania e dalla tallonite che lo preoccupa:
« Ogni sabato perde, è giunta l’ora! Ma qua l’ora non giunge mai! Sono sempre lì, sempre lì, non si
riesce a staccarli, anzi si fanno sotto, altro che beccare! ». Brescia era una trappola per il Napoli, più
sul piano psicologico-nervoso che su quello tattico e tecnico. Per questo non si è visto quello che si
presumeva di vedere, per questo l’accanito ma tranquillo battersi del Brescia ha catalizzato la trama
dei novanta minuti.

Il terreno era come una moquette alta e soffice, di quelle che solo a camminarci sopra a lungo
imbastiscono le gambe. Il terreno frenava il ritmo delle furie di Renato Gei, ma in compenso
appesantiva ulteriormente la « stazza » di Sivori e la possibilità che lavorasse in scioltezza per le
due punte e mezza (Postiglione). Su quel terreno gli attaccanti hanno faticato il doppio, nello scatto.
E forse non si avrebbe avuta nessuna palla-gol se l’equilibrio della siccità non fosse stato rotto dal
tedesco Bruells, imbottito come un rubicondo wurstel, ma forte, intelligente, pronto e… mal
marcato da Emoli. A nostro avviso, Bruells poteva da solo determinare il gol del Brescia: basta
ricollegarci un attimo alla cronaca, del primo e del secondo tempo. Al 32’ De Paoli sfiora la
traversa su cross di Bruells; al 36’ su un altro servizio del tedesco Bianchi incorna quasi in gol; al
37’ Bruells stesso trova Bandoni che gli ruba la rete con le dota della mano destra. E al 63’, ancora
Bandoni, compie il capolavoro-miracolo: con il braccio e la gamba devia in angolo un tiro da sette
metri del tedesco ostacolato in maniera provvidenziale da… Sivori! E’ la cronaca: tutto quello che il
Brescia ha tentato lo ha tentato con Bruells che Emoli non riusciva assolutamente a frenare. Questa
situazione, normalizzatasi soltanto verso la metà del secondo tempo, ha trascinato i difensori del
Napoli a interventi d’affanno a volte incredibili. Ma la difesa, tutto il blocco, è stata la vertebra
irriducibile che ha sorretto la squadra napoletana contro la marea dei minuti che il Brescia spendeva
tutto all’attacco.

La « splendida difesa » che Gei avrebbe elogiato più tardi. Il « bunker veneto »: Nardin Stelio,
triestino; Girardo Antonio, vicentino; Ronzon Pierluigi, friulano; e sopra tutti Panzanato Dino,
veneziano. Su Bandoni, intuitivo e rapido, e su questi quattro uomini poggia il pareggio del Napoli.
Dicevano particolarmente su Panzanato che ha annullato, sepolto De Paoli ed ha dato
un’interpretazione lunare di quella che deve essere la « vita disperata » di uno stopper senza paura,
grintoso, mai vinto.

Contro il Brescia che voleva vincere a tutti i costi, come ai bei tempi della trionfale marcia alla
A, non si poteva opporre il guanto di velluto. Anche per questo forse l’esordio di Guido Postiglione
è stato più spigoloso e difficile del previsto. Era dalla terz’ultima domenica del campionato scorso
che non disputava una partita vera: quando ancora era al Palermo. Postiglione, il « napoletano nato
a Firenze » come ama definirsi, ha accusato comprensibile assenza di ritmo. La sua faccia alla Peter

Sellers non ha sorriso alla fine, ma Pesaola sa che, per spiccato senso tattico e possibilità fisiche, su
di lui potrà ancora contare. Esordire contro il Brescia, a Brescia, non fa sorridere nessuno.