1999 Gli slogan integralisti che nascondono la paura

1999 – Gli slogan integralisti che nascondono la paura

Varese proclama a prima vista una Lega Nord più dura e più pura, ma è soltanto una Lega ferita. Pur
provocando a occultare i suoi errori con l’urlo integralista, non ha potuto evitare che per la prima
volta nella sua storia un esponente di punta come Domenico Comino, fino all’altro ieri capogruppo
in Senato e sergente di ferro di Bossi in Piemonte, mettesse il dito e la mano nella piaga
candidandosi a leader. Voleva essere uno schiaffo, lo è stato. Forse la Lega non sarà più la stessa.
Il federalismo del suo statuto originario si è perso nella notte dei tempi e dei celti; il secessionismo è
diventato un’ “anima”, cioè una corrente del movimento; la Padania riguarderà le future generazioni
del “dio Po”. Nel crepuscolo delle vecchie strategie e/o miti, la questione settentrionale non poteva
che limitarsi ieri alla linea della paura.
Paura della diaspora interna, contro la quale Bossi ha radicalizzato il pendolo tra fedeltà ed
espulsione. Paura della diaspora esterna, alla quale il segretario ha opposto la solitudine delle fasi di
crisi.
Misure d’emergenza, non una strategia, che sarà probabilmente rimandata al prossimo anno a
ridosso di un voto regionale che, nella recente previsione di Massimo Cacciari, peserà per tutti
esattamente come un voto politico. Su questo punto almeno, Bossi la pensa come Cacciari.
Al congresso Bossi ha confessato il suo vero incubo; la “nuova Dc”, in grado di aspirare voto
moderato come in un nuovo, grande buco nero centrista. Anche se il solo a evocare senza trucchi la
Dc è il prof. Buttiglione, Bossi pensa ad altro, in particolare a Berlusconi, il più interessato a fare
man bassa di “Controleghe” o di “Leghette” a spese della Lega Nord.
Qui Bossi ha tutt’altro che torto anche perché, più in Veneto che nell’area lumbard, ma lungo l’intera
fascia pedemontana, il voto della Lega si sostituì – a volte con precisione addirittura centesimale –
al voto bianco. E Bossi sa altrettanto bene che Berlusconi guarda ai voti della Lega Nord come a
voti per così dire in libera uscita dal serbatoio moderato.
Ciò che il congresso di Varese ha accuratamente evitato di domandarsi è perché la Lega abbia perso
il cinque e mezzo del consenso in tre anni ma, soprattutto, perché il “centro” le procuri oggi tanta
vertigine. Il fatto è che proprio la Lega stava al centro del nascente sistema bipolare e che soltanto
Bossi ha deciso di traslocare in un Aventino padano senza politica e senza blocco sociale.
Il centro della Lega c’era, ed era federalista. Imponeva un duro lavoro riformista, un movimento
specializzato in riforme, ottenute le quali si sarebbe anche potuto sciogliere, come ipotizzato dallo
stesso Bossi. Per riformare lo Stato in senso autonomista e federalista, sarebbe stata necessaria una
Lega istituzionale, non antisistema. O, meglio, una Lega che usasse il suo portentoso porta a porta
per favorire accordi e spinte al cambiamento. Da quel porta a porta Bossi ha finito per approdare al
porta a porta di Bruno Vespa: la tv rendeva plateale la distanza della Lega Nord tanto dalla
“rivoluzione” quanto dalla “politica”, né sinceri furori né realistiche proposte. Un limbo dentro il
quale poteva trovare posto persino l’amicizia con Zhirinovki.
E’ possibile che, dopo quella di lotta e di governo, emerga ora una Lega degli amministratori,
facendo ripartire dal basso l’identità riformista smarrita dall’alto. Sarebbe una Lega più localista e
meno visionaria, più territoriale e meno ideologica.
Come una terza pelle.
Quel che appare inconfutabile è che la stragrande maggioranza dei problemi che generarono la Lega
restano irrisolti. Per questo è una Lega doppiamente ferita, che può misurare il declino di Bossi.