1996 gennaio 26 Tattica come mestiere

1996 gennaio 26 – Tattica come mestiere. Ecco il male dell’Italia

Gli italiani sembrano pazzi, i politici incapaci. Ma è davvero così, o quel «sembrano» nasconde qualcosa
di meno incomprensibile? Partiamo dagli italiani. La maggioranza d’essi vuole le riforme, rifiuta il
governissimo e chiede di votare subito! In buona sostanza, ha ragione Occhetto, invocano tutto e il suo
esatto contrario: se si vota immediatamente, non si riforma nulla, tanto per cominciare. E poi, piaccia o
non piaccia – a noi per esempio non piace – il governissimo sarebbe proprio il tentativo di accordarsi su
qualcosa. Nonostante sembrino pazzi, incoerenti, confusi al massimo, la spiegazione è alla nostra portata.
Gli italiani hanno sì fame di riforme, ma non si fidano di queste e di questo ceto politico. Fiutano
insincerità, calcolo, logica di partito. Più si parla in giro di «interesse del Paese», più avvertono
tornaconto elettorale. Questo il punto, e allora preferiscono votare: come dire che, pur con la palla al
piede delle vecchie regole, credono soltanto al proprio voto. Senza entusiasmo, per rassegnazione: il male
minore. Sono a guardar bene depressi politicamente, non pazzi. L’anelito riformista non basta a
convincerli che questi quattro-cinque leader siano in grado di fare un accordo per la prima volta
patriottico. Da Roma si aspettano ben poco, o nulla. Abbiamo fatto l’unità d’Italia con lo sbarco dei Mille
di Garibaldi, l’abbiamo consegnata a vent’anni di regime con la Marcia su Roma, ne abbiamo rifatto la
Costituzione dalla radice dopo aver perso la guerra. Si cambia solo se la storia si fa drammatica,
manchiamo di cultura riformista. Il meglio oggi viene dalla base, dai cittadini, dai Comuni, dai sindaci,
dall’economia reale, dalla pressione dei movimenti. Il sociologo francese Alain Touraine fa appello, in
un libro che sta per uscire in Italia, al «risveglio dell’opinione pubblica» come arma più forte dei partiti,
sull’esempio di Germania e USA. Se gli italiani non sono pazzi, i politici sono tutti incapaci? Anche
questa è una domanda biforcuta nel senso che a mancare è più la responsabilità che l’abilità. I politici
non ce la fanno a convincersi che, senza la riforma dello Stato, alla lunga perderanno tutti. Un Polo o
l’altro potrà vincere una tornata elettorale, ma il giorno dopo sbatterà ineluttabilmente il muso contro il
muro del centralismo burocratico, e dal quel giorno comincerà a perdere la partita politica. Ovviamente,
partita persa per l’Italia. Non esiste un solo presidenzialismo, né un solo federalismo. C’è di tutto nella
storia. Il segreto di ogni democrazia liberale sta nell’equilibrio dei poteri. Poteri forti ma equilibrati,
soprattutto in un Paese come il nostro da sempre infestato da oligarchie d’ogni risma e dal mito mai
sopito dell’uomo della Provvidenza, che ci pensa lui per noi. Oggi il ceto politico sembra radicalmente
incapace, ma non lo è. Piuttosto, sta ancora con la testa nella prima Repubblica: più di quaranta partiti e
più di venti gruppi parlamentari ragionano ancora con la cultura del proporzionale. Conservano come
unica bussola il sondaggio elettorale, il per cento del loro simbolo, la quota grande o piccola di potere,
le riforme piegate al consenso parcellizzato. Alain Touraine e Gianfranco Miglio, da sinistra e destra,
indicano non a caso un cancro, sia in Francia che in Italia: il professionismo della politica. La tattica
come mestiere. È il male che sta in queste ore sotto i nostri occhi e che spiega molte cose apparentemente
inspiegabili.

29 gennaio 1996