1996 dicembre 16 Il Nordest da Bossi a Fossa

1996 dicembre 16 – Il Nordest da Bossi a Fossa
Se non si fosse dimesso, lo avrebbero dismesso a viva forza per eresia confindustriale. Da poche ore ex
presidente degli imprenditori del Veneto, Mario Carraro, è stato ripudiato dalla base per non essersi
allineato alla parola d’ordine: il governo Prodi è «da spazzare via», firmato Fossa. Ancora una volta
Veneto in primissima linea. Luogo di riformismo e di ribellismo, di attese e di paure, di narcisismo
(«quanto siamo bravi») e di frustrazione («quanto siamo fessi»). Il Nordest come laboratorio
dell’economia che gli studiosi chiamano «semiperiferica», della produzione territoriale, dell’export
record, del reddito pro capite superiore di quasi il venti per cento a quello medio dell’Europa: soltanto
l’Ile de France e la cittàstato di Amburgo stanno meglio. Non importa il caso Carraro in sé, conta ci
che svela in controluce, a cominciare dal ruolo degli industriali e dalla natura del capitalismo, oggi, qui.
Il Veneto ex polentone, ex casa e parrocchia, ex collaterale, ex signorsì sior paron, ha scelto il gioco
duro, le entrate a gamba tesa, più fossista di Fossa e più romitiano di Romiti. Il più imprevedibile degli
alambicchi ha distillato, insieme, la protesta della fiat (dei mancati incentivi) e quella delle
microimprese (della mancata detassazione): uno stranissimo matrimonio d’interesse. Carraro incarna
suo malgrado una metafora italiana, aiuta a capire lo stress dell’economia, il cortocircuito con la
politica. A Nordest, area solitamente disattenta alla ricerca, Carraro è uno di quegli industriali che dalla
mattina alla sera predicano l’innovazione. Nella sua azienda metalmeccanica, per coerenza, il ventitré
per cento degli operai è diplomato, i robot sono di casa, la qualità si misura sul coefficiente «QS 9000»,
il più selettivo in circolazione. Dipendesse da lui, ristrutturerebbe a fondo la stessa Confindustria,
rendendola federalista, passando alle associazioni regionali autonomia e poteri oggi vietati. Ma,
soprattutto, ha una certa idea sulla funzione del «partito degli imprenditori»: qui sta lo strappo, l’eresia.
Un’idea tedesca, che privilegia la concertazione, che non rompe mai il filo della collaborazione con il
governo, qualunque sia il colore politico. Un ruolo anche critico, preoccupato, incalzante, mai di
rottura, di sfida, di opposizione che scimmiotti i meccanismi della politica. Il Veneto aveva scelto la
Lega come spallata, Berlusconi come soluzione: oggi inquadra Prodi come bersaglio. In questo
percorso incontra il suo nuovo vangelo, la parabola dello «spazzare via». Qui i duri e puri del
capitalismo a grappolo, una impresa ogni undici abitanti come in provincia di Treviso, salutano per la
prima volta la Confindustria di lotta. Fossa suona come Bossi. Carraro non ci sta; condivide tutte le
preoccupazioni di Confindustria, dà credito alle non rosee previsioni, ma sconfessa quel tono
ultimativo, da resa dei conti, che non aiuta il nostro Paese a uscire dal tunnel. Forse perché ha la
passione per Proust e Montaigne, Carraro ha il gusto delle sfumature: detesta chi usa l’espressione
«questo Paese» per dire l’Italia, trovandolo distaccato, inconsapevolmente cinico. Preferisce e
raccomanda il «nostro Paese», proprio per caricarlo di significato, da ceto dirigente che condivide
l’occhio del ciclone, invece di alimentarne i venti. Più che lo «spazziamo via» di Fossa, lo ha colpito il
giudizio di Romiti sulla «cappa di piombo» che incomberebbe sulla nostra economia. Una stroncatura
che, per il livello della fonte, pu spingere l’Europa a screditare gli sforzi e la credibilità del nostro
Paese. Carraro sogna un patto per le riforme, il vulcano veneto un braccio di ferro politico. Il
bipolarismo, o di qua o di là, ha lacerato anche il capitalismo dopo decenni di garbo e di affari.
15 dicembre 1996