1970 ottobre 20 Il Ct a Mazzola: “Non dire che il gol era favoloso”

1970 ottobre 20 (Il Gazzettino)

Il Ct a Mazzola: « Non dire che il gol era favoloso »

Nell’ottobre del ’68, l’editore Rizzoli pubblicò « Dalla Corea al Quirinale », libro dettato al
registratore da Gianni Rivera con l’assistenza letteraria di Oreste Del Buono. Un capitolo
(« L’abatino si confessa ») mi pare di grande attualità. Rivera infatti riferisce il caso di un giocatore
grande ma inutile; di un giocatore che dichiara forfeit per questioni ambientali. E’ storia del grande
Milan, storia del ’62; leggiamola, con le parole di Rivera:

« Liedholm si era ritirato per sopraggiunti limiti d’età, e Viani aveva pensato di sostituire un
grande nome con un altro grande nome. Il nuovo asso straniero del Milan era andato ad acquistarlo
in Inghilterra, Greaves, quello dei gol difficili. Mezz’ala, opportunista micidiale, agguerrito nella
tecnica ed estroso fino ai paradossi della lunaticità, Greaves cominciò a segnare spesso e volentieri,
ma con il resto della squadra legava poco o niente in campo; così lui segnava, e, in compenso, dato
che lui non funzionava molto da mezz’ala, non segnava Altafini. E con il resto della squadra
Greaves legava poco o niente anche fuori campo, a Milano non si trovava bene, aveva nostalgia di
Londra, di una vita più libera e chiassosa, senza segregazioni collegiali, senza restrizioni al
consumo di birra e whisky, senza sorveglianza e censura. Un giorno se ne fuggì in patria… ».

Racconto interessante perchè Rivera riconosce:
1. Greaves era un asso (in campo) eppure procurava reazioni tattiche negative;
2. Greaves fallì anche perchè (fuori campo) era un isolato. Calate nella Nazionale di oggi, le
intelligenti tesi di Rivera conservarlo sul serio forte sapore autobiografico: sembra che Rivera parli
di Rivera piuttosto che di Jimmy Greaves! Nessuno ha mai detto o scritto che Rivera non sia un
grande giocatore. Personalmente, se dovessi girare un documentario didattico sullo stile del
football, piglierei una cinepresa e la piazzerei addosso a Rivera: nessun altro calciatore europeo
riesce a rendere tanto « naturale » e confidenziale il rapporto tra giocatore e pallone, in souplesse o
in azione che sia. Rapporto che resta invece di incomunicabilità per molti protagonisti della serie A.
Ma, agganciato Rivera alla Nazionale ’70, nascono automaticamente solide perplessità: in
sostanza le stesse che Rivera avvertiva per il Greaves ’62. Non a caso, quattro anni dopo, proprio
Greaves (uno dei più coccolati giocatori dell’opinione pubblica inglese), venne escluso dalla
nazionale per decisione definitiva di Alf Ramsey: l’Inghilterra vinse la coppa Rimet, Ramsey
diventò baronetto e Greaves fu dimenticato. Le necessità tattiche dell’autoritario allenatore
ripudiavano le indiscusse invenzioni di Jimmy, un « matto simpatico » come lo aveva definito
Nereo Rocco.

Dopo l’amichevole di Berna, e sottolineo amichevole, Gianni Rivera tace. Ma riscoppia la
bagarre. Nessuno si sogna di togliere di mezzo Mazzola, indipendentemente dal nobile gol. Allora
che succede a Vienna, contro l’Austria, per un match importante? Valcareggi applica dogmatico no
comment. Franchi dichiara a Berna: « Il ct. dovrà decidere. Se a qualcuno non starà bene la scelta,
basta che lo dica civilmente, ne prenderemo atto ». Qualcuno suggerisce l’impiego di Rivera
numero 9, centravanti arretrato, con due « Mirage » centrali, cioè Riva-Boninsegna (o Anastasi).
Qualcuno propone Rivera numero 7, ala destra, nella maglia di Domenghini, sempre che Domingo
non recuperi vis atletica. Altri chiedono la staffetta.

Insomma il tempo passa sempre uguale nella clessidra azzurra: tatticamente parlando, chi chiede
Rivera lo vuole dirottare dalla maglia numero 8 o impiegare a mezzo servizio. Rivera come Greaves
dunque: asso contestato, in campo. E fuori campo? Rivera rispetta i ritiri, non gli importa del

whisky, non ha nostalgia di… Alessandria. Il « fuori campo » della Nazionale significa per lui
legami, amicizie costruite, istintive affinità. E neppure qui ci siamo.

Alla « Domenica sportiva » è stato chiesto a Mazzola e Facchetti se esistano Clan azzurri. I due
giocatori hanno risposto allo stesso modo: « No, se si intende Clan nel significato mafioso e
invadente del termine. Chiaro però che, all’interno di qualsiasi gruppo (non solo del football) si
creano amicizie e preferenze ». Avevo riferito l’altro giorno come stava la situazione all’interno
della Nazionale: Rosato con Rivera; Riva neutrale e infastidito dalla staffetta; Gori anti-Mazzola per
questioni di politica interista; tutti gli altri pro-Mazzola. Ieri è apparsa su un quotidiano milanese la
tabella dettagliata delle correnti interne: coincide tutta, con una sola variante. Cera infatti sarebbe
riverista convinto. Fosse anche esatta al millimetro questa tabella, le conclusioni non mutano:
nessuno ovviamente piglia a pesci in faccia Rivera ma l’atmosfera gli si offre sottilmente ostile. Non
giudichiamolo: è un dato di fatto.

Del resto, di situazioni simili Rivera dovrebbe avere molta esperienza: perché non ricordiamo la
radiazione di Corso? O quella di Picchi dopo un’intervista di Rivera? Erano i tempi di Edmondo
Fabbri, riverista convinto; erano i tempi della Nazionale costruita su Rivera, come lo è oggi su Riva.
Giusto o sbagliato che fosse, Fabbri cercava un gruppo di giocatori unanime attorno alle sue tesi.
Oggi le cose sono cambiate, in peggio, perché la popolarità della Nazionale sale costantemente e
perché, dai tempi di Coppi-Bartali, mai lo sport italiano ha più riproposto un’antitesi tanto viscerale
come quella tra Mazzola e Rivera.

Racconto un episodio inedito e ancora caldo. Sotto la doccia, nello spogliatoio di Berna,
Valcareggi chiamò Mazzola e gli disse: « Adesso che ti intervisteranno, non dire che il tuo gol è
stato favoloso. Ti raccomando, lascia che lo dicano gli altri: non vorrei turbare qualcuno…». Non
credo servano commenti per dare l’idea delle elefantiasi psicologiche alle quali siamo (un po’ tutti)
arrivati.

Gianni Rivera comunque, discusso in campo e isolato fuori, non potrà avere sempre un
indurimento alla coscia che gli consenta di togliere la castagna dal fuoco standosene comodamente
davanti al televisore. Se sarà coerente e non accetterà nemmeno il mezzo servizio (non dico un’altra
maglia, da lui rifiutata), non vedo come potrà restare nel giro.

Troppo veleno è passato sotto… la staffetta perchè in campo si possa realizzare una coppia vera
tra i due: con passaggi al momento giusto per far magari segnare, e trasformare in « eroe » la
propria antitesi. Rilievo cinico ma realistico. E abbondantemente constatato altre volte. Non s’è
sempre sostenuto che i giocatori sono uomini e non robot? Il peccato mortale degli uomini è
appunto l’egoismo, anche nel football. Imponderabile a parte, arriveremo forse alla « civile
rinuncia » autorizzata da Franchi.