1966 luglio 17 Italy off limits

1966 luglio 17

Italy off limits

DURHAM – Davanti ai cancelli sbarrati, un monumentale policeman dice irrimediabilmente « no ».
Per tutte le ore del giorno. Senza eccezioni. Alle spalle dei cancelli, il college fiorito ha assunto via
via l’aspetto della caserma. I giornalisti sono indesiderabili, ventitré ore su ventiquattro. La
ventiquattresima è l’ora del lebbroso, l’ora del giornalista.

E’ stata imposta con rigore: al mattino, dalle undici a mezzogiorno. Sessanta minuti per ascoltare
in religiosa compostezza la parola del capo. E poi, « via »! I contatti verbali con i giocatori sono
vietati. Dalle undici a mezzogiorno vengono sequestrati nelle camerette, o spediti,
accompagnatissimi, in pullman in città per impedire che la pubblica opinione corra il mortale
pericolo di sapere « qualcosa ». Atmosfera da congiura, occhi laterali. Attento che ti fanno parlare.
Attento che ti fotografano. Si, perchè ci sono anche i fotografi. E la squadra deve aver paura di tutti.
Perchè tutti tentano di pugnalarla alle spalle, di spiarla, di nuocerle. Ho visto un ragazzino biondo di
cinque anni sbattuto fuori come un ladro.

Questa è la vita imposta dal « capo » nel college. Non è il college degli allegri cileni. Ne quello
« coram populo » dei russi, ne la tomba degli oltranzisti coreani. No. E’ l’Houghall College, sede
dell’Italia e di Edmondo Fabbri. Un Fabbri off limits. Come l’Italia.

« Ma se è nervoso lui, come facciamo a essere calmi noi? ». Queste sono testuali parole di un
giocatore italiano, un attaccante del quale ometto il nome per evitare spiacevoli e inutili strascichi.
« Lui », ovviamente, sta per Fabbri. Un noto dirigente del clan azzurro mi ha invece confessato:
« E’ anche comprensibile: sono i suoi primi mondiali….. Ho citato questi due giudizi autentici per
dare la misura di una sensazione che non è più una sensazione. Ma una realtà: Edmondo Fabbri
accusa un logorio psichico di notevoli proporzioni. I mondiali gli stanno bruciando il sistema
nervoso. E fatto mi sembra grave, perchè, alla lunga, potrebbe provocare un contagio assolutamente
negativo. Se ne sono accorti tutti ed una serie di episodi accaduti in questi giorni di pioggia e freddo
lo testimoniano abbondantemente.

Fabbri tuona

1) E’ cominciata molti giorni fa, con la rivelazione da parte di un quotidiano milanese di presunte
pressioni del clan « rossonerazzurro » della squadra a favore della candidatura Leoncini per il ruolo
di mediano. « Qui è tutto tranquillo — tuonò Fabbri nella successiva conferenza stampa — e chi
crede il contrario cade in errore! ». Non tutti i giocatori erano a conoscenza dell’episodio. Solo i
bene informati. Mazzola mi disse: « Qui, prima o poi, si viene a sapere tutto….. » II C.U. passò
immediatamente a tutti i giocatori il tassativo divieto di leggere giornali italiani!!!

2) Domenica scorsa rottura totale dei rapporti diplomatici tra Fabbri e… « Sprint », la rubrica

messa in onda settimanalmente dalla TV nazionale. La premessa per l’incidente era lontana.
« Sprint », con un servizio conclusivo sulla farsa del Gallia Hotel, il carnevalesco mercato dove è
obbligatorio fingere, importante trattare, superfluo concludere, aveva irritato la Federazione. E
Fabbri è un « federato governativo ». La domenica dunque, qualche minuto prima che piombasse al
college la troupe di « Sprint », Fabbri disse pubblicamente: « Quelli di Sprint sono come la peste
nei tacchini, quando arrivano loro… muoiono tutti! ». Toc, toc, dieci minuti dopo… la « peste »
bussa alla porta. C’è una gran confusione nella hall. Uno della troupe abbozza: « Siamo stati dal

brasiliani, dai russi ed è tutto tranquillo; qui invece… » . Fabbri scattò a fil d’orecchio, non lo lasciò
finire: « Uscite di qui! ». Era pallido e la voce gli mancava.

3) La voce gli mancava ed era altrettanto pallido, quando minacciò il sottoscritto (« non la faccio
più entrare qui… »), perchè avevo commesso l’enorme reato di appartarmi cinque minuti con
Sandro Mazzola (mentre aspettava una telefonata con Chiavari della moglie). Tema della
conversazione: la Russia e l’Inter.

Guerra ai russi

4) A proposito di Russia, avevamo notato tutti che c’era un contrasto enorme tra la cortesia del
giocatori sovietici e la muraglia invalicabile eretta dalla faccia del ministro Nikonov. La ragione
c’era: due dirigenti russi, diretti al college italiano erano stati allontanati senza mezze misure. E
rappresaglia conseguente…

5) L’altro giorno, un fotografo… stava riprendendo Pasquale e la faccia tumefatta di Bulgarelli.
Come Fabbri se ne accorse apostrofò brutalmente il fotografo: erano presenti Pasquale, Franchi,
Allodi a molti giornalisti. Ho saputo più tardi che Fabbri si e preoccupato di spiegare l’incidente ai
giocatori. Uno di essi mi ha riferito: « Aveva avuto l’impressione di essere scavalcato! »

Tutti questi episodi sono di una banalità estrema. Lo sono e lo erano, ma il C.U. è riuscito da
solo a trasformarli in tanti focolai di tensione. I giocatori parlano poco anche tra di loro. Non
possono leggere giornali, fare dichiarazioni. L’ultimo stratagemma di Fabbri per evitare i contatti
con i giornalisti, e quindi con il pubblico italiano, è stato di farli partire con il pullman… nel
momento esatto (le undici) in cui la stampa è ammessa nel college e di farli rientrare dalla gita non
appena l’ora era scaduta (le dodici). In teoria quindi nessuno in Italia potrebbe sapere da Bulgarelli
in che misura ha risentito dell’incidente-cileno, da Rivera se si sente fisicamente a posto, da
Burgnich che differenza ha trovato tra Sanchez e il russo. Niente.

Per fortuna, solo in teoria. Perchè sono gli stessi giocatori a non gradire fino in fondo questo
assurdo isolamento, che ossessiona, che crea problemi artificiosi, sospetti incomprensibili. I cileni li
conosciamo: sono del buontemponi in vacanza. Il loro albergo, a Newcastle, è fitto di gente. Loro si
divertono. I russi, d’altra parte, hanno smentito la « leggenda dell’isolazionismo ». Restano i
coreani. Muti come statue, freddi come ghiaccio, infantili fino alla commozione, barricati dietro la
faccia insignificante del loro press-agent inglese Thomas Moore. Ma, a questo punto, lo stato
maggiore italiano ha raggiunto vertici coreani: l’isolazionamento estremista ha radici nel
nervosismo, nella paura. E’ per questo che il C.U. farebbe bene ad ammorbidire certe spigolature
stonate, a ricreare un’atmosfera in cui il giocatore non si senta braccato, inseguito, « pericoloso ».

L’esempio di Barison

Abbiamo visto tutti che la squadra avrebbe potuto rendere il doppio contro il Cile se troppi elementi
non avessero avuto la gola arsa dall’ansia: come Paolo Barison per esempio. In un torneo fulmineo
come questo, nel quale il « gransimpatico » è già sottoposto a sollecitazioni più forti del normale,
c’è l’esigenza irrinunciabile di un guanto meno ruvido di quello usato da Fabbri. Ho notato, ad
esempio, persino una cosa curiosa (ma rivelatrice) durante le conferenze stampa. Quando risponde
ai giornalisti inglesi, Fabbri usa spesso espressioni secche, spicce, anche se estremamente cortesi,
per la verità. In queste circostanze, ho notato che l’addetto-stampa italiano Giuseppe Tito
Bardigotta, traduce in inglese le rispose di Fabbri tutt’altro che in a « High fidelity »: un semplice

« no » di Fabbri, lo ripropone con una lunghissima passeggiata verbale piena di « sorry », « thank
you » e tutta una serie di concessioni alla causa (giusta) delle pubbliche relazioni.

Durham è terra di minatori robusti e laboriosi, minatori che tra il sabato e la domenica si scolano
una decina di litri di birra scozzese a testa: tanto che Fabbri ha negato alla squadra le libere uscite al
sabato e alla domenica, per dribblare incontri ad « elevata concentrazione alcoolica ». Ma, birra a
parte, una coppa del mondo non deve essere trasformata costantemente in tragedia. L’Italia off
limits non ha senso. Ed è oltretutto pericolosa. La conclusione decisiva, mi pare, l’ha indicata
proprio quel nostro attaccante: « Ma se e nervoso lui, come facciamo a esser calmi noi? »