1992 agosto 24 Il record dell’arroganza

1992 agosto 24 – Il record dell’arroganza

L’organo del Partito Socialista Italiano, l’”Avanti”, ha scritto: “Potrebbe persino risultare che il dottor
Di Pietro è tutt’altro che l’eroe di cui si sente parlare e che, in questo caso, come in tanti della vita,
non è proprio oro tutto quello che luccica”.
Allusioni, insinuazioni, avvertimenti. Incontestabili minacce. Agli atti formali di un pool di magistrati
della Procura della Repubblica di Milano, la segreteria del Psi risponde con metodi presi a prestito da
organizzazioni di ben altro stampo. Intimorire senza esporsi.
Il presidente del Consiglio, che questi metodi ignora per cultura, non ha nulla da obbiettare al suo
partito? E il ministro di Grazie e Giustizia Martelli, anch’egli socialista, saprà nuovamente prendere
le distanze dal suo segretario?
E’ blasfemo parlare di rifondazione di partiti se poi l’ombrello dell’unità interna finisce con il coprire
il peggio del peggio della partitocrazia. Nel caso in questione l’istinto dell’impunità.
Il Psi non contesta accuse specifiche, non enumera errori giudiziari, non rivendica fino
all’indignazione l’estraneità delle legioni di suoi esponenti inquisiti. Del resto, come potrebbe di
fronte alla mole dei riscontri? Quale bersaglio sceglie dunque Di Pietro, il quale non ha fatto nulla
per mostrarsi “eroe” ma che tale è potuto sembrare – soprattutto ai giovani – per aver sfondato per
primo a colpi di codice penale il muro di un sistema che, nel nome della politica e degli affari, ha
corrotto tanto la prima quanto i secondi.
Molti lettori ci hanno già fatto sapere in queste ore di essere rimasti sconvolti dal racconto
dell’ingegner Piergiorgio Baita, direttore del Consorzio Venezia Disinquinamento, ospitato sabato
scorso dal nostro giornale. Ne risultava, con esemplare lucidità, il quadro di un Veneto letteralmente
in ostaggio di partiti e di correnti, di leader e di portaborse, di parlamentari e di tirapiedi, dove – anche
a prescindere dalle tangenti – le opere pubbliche e la loro durata, gli appalti e la loro entità, le imprese
e la loro selezione, dovevano passare rigorosamente attraverso il giogo di un Potere incurante dello
Stato, del mandato popolare, della legge.
Da Milano al Veneto, gli italiani hanno il diritto di costituirsi parte civile. Prima che per riavere il
maltolto, per illuminare fino in fondo gli incalcolabili danni che costoro hanno inferto a quanti, e sono
ancora tantissimi, credono che la politica non sia né una cosa sporca né una perdita di tempo, ma il
luogo del servizio pubblico.
Il ministro degli Interni Mancino è parso nei giorni scorsi molto pimpante a chiedere in tempo
irrimediabilmente scaduto, di controllare i conti finanziari del venerabile piduista e maestro in trame
Licio Gelli. Sarebbe molto più tempestivo se d’accordo con il presidente del Consiglio e con il
ministro degli Esteri, lo stesso Mancino promuovesse con urgenza un passo ufficiale presso il governo
svizzero allo scopo di sbloccare almeno alcuni conti bancari cifrati dichiarati recentemente
inaccessibili in faccia al giudice Di Pietro, solo e impotente su questo capitolo decisivo dell’inchiesta.
Scopriremmo qualcosa di molto più interessante. In attesa, naturalmente delle rivelazioni del giornale
di Craxi sul magistrato milanese.
“Troveranno al massimo qualche storia di donne…” spiegò un giorno Di Pietro. E il pubblico
ministero veneziano Carlo Nordio, sapendo che ci si può attendere di tutto da chi si è visto rompere
un giocattolo miliardario tra le mani, a una domanda dello stesso tenore rispose un mese fa con una
battuta: “Ho già avvertito mia moglie; che si è fatta una risata!”.
Hanno saccheggiato il Paese, esponendo alla sfiducia degli italiani anche i tanti politici perbene, e
oggi battono il record dell’arroganza, aggredendo personalmente il primo giudice di tangentopoli.
Non si era mai arrivati a tanto in Europa. Ma non bisogna arrendersi; passerà anche questa.