1992 agosto 27 Dietro quella frase

1992 Agosto 27 – Dietro quella frase

Su un foglietto sequestrato dai giudici veneziani erano registrate le tangenti per il nuovo stadio di
calcio di Padova. Da una parte i nomi di sei politici, dall’altra quella delle sei aziende del consorzio
di costruttori; 36 cifre, come in un bel cruciverba della corruzione.
Quando il prelievo diventa sistematico e diffuso, da qualche parte bisogna pur tenere uno straccetto
di contabilità. La memoria non basta più, il computer è rischioso, meglio ricorrere agli appunti, alle
agendine, alle notarelle a margine e avere un po’ di fortuna. C’è qualcosa di casereccio in questo giro
di appalti e miliardi, una sproporzione per così dire tutta veneta tra i personaggi e ciò che
rappresentano, tra il potere che hanno e le miserie del loro quotidiano intreccio con la funzione
pubblica.
Straordinaria, nella sua assoluta normalità, l’agenda sequestrata al cavatore trevigiano Adriano
Bergamin. I bolli da pagare, un salto al Consorzio agrario, una visita al Comune e quella telefonata
di buon mattino, alle 7 e 30, con Gian Petro Favaro. La vita privata e la cava, il promemoria e l’affanno
per trovare la strada giusta dei lavori.
Vi si legge una frase folgorante:” Si ricandida nuovamente in Regione come capolista costo 80/90
milioni”. Noi non sappiamo quali spiegazioni darà Favaro ai giudici e quale sarà l’esito dell’inchiesta
ma quell’annotazione – di per sé senza rilevanza penale – lascia intravedere infinitamente di più di
quanto non dica.
I costi di una politica sempre più di professione. La macchina elettorale che chiama denaro oltre le
risorse delle persone e degli stessi partiti. Un’area di anno in anno più confusa dove s’incontrano le
cariche e gli interessi, le Istituzioni e gli affari.
Anche quando non ci fossero le tangenti personali, utilizzate per arricchirsi e per arricchire la corte
dei portaborse nullafacenti, la partitocrazia dà per scontato di doversi autofinanziare a tutti i costi. E
il sistema è oggi tanto capillare oltre che scontato da aver quasi abituato l’opinione pubblica a
considerare il finanziamento occulto di partiti e/o correnti quasi un mezzo reato, una colpa lieve, un
male necessario.
Quel foglietto di Padova, quell’agenda del cavatore, come migliaia di altri riscontri in tutta Italia,
segnalano al contrario un costume pubblico molto più devastante della corruzione personale. Perché
piega lo Stato al partito, sovverte le regole. Ci fa tutti complici.