1983 Gennaio 24 Verona e Roma le squadre scudetto

1983 Gennaio 24 – Verona e Roma le squadre scudetto

C’erano tutti, da Bearzot e Maldini in poi. Gigi Fabbri sentiva parlare di scudetto nel Veneto e
allora faceva gli stessi occhietti lucidi del 1978, quando a Vicenza i gol di Paolo Rossi misero alla
Juve qualche dubbio, ma soltanto quello. Verona ha vissuto ieri una giornata diversa, forse
irripetibile.

Che giochi a San Siro o che incontri la Roma, il Verona 1983 non fa differenza. Il suo gioco full
time non ammette eccezioni; se sai far bene una cosa, affidati a quella, non tentare trucchi. L’arbitro
non ha fatto in tempo a fischiare che il Verona era quasi in gol, come già accadde con la Sampdoria.
E’una squadra che non ha complessi tattici: anche per questo ricorda il “bel gioco” del Vicenza di
cinque anni fa.

La sapete la storiella? Quando ci sono partite decisive o importanti, le cosidette “partite dell’anno”
sarebbe obbligatorio giocar male, per nervosismo, per marcature, per tutta una serie di forze di
segno negativo, contrarie al gioco. Sotto gli occhi di Falcao, squalificato e in tribuna, Verona-Roma
ha dimostrato che la storiella può essere una balla. Si può giocar bene anche giocandosi un
campionato!

Il Verona è partito a un ritmo che temevo insostenibile. Squadra cocciuta nel tentare di vincere, il
Verona non si è preoccupato nemmeno per il portiere, un ragazzo esordiente, più in confidenza con
la C2 di Conegliano che con i superlativi del Bentegodi. Nato nel febbraio del 1960, compaesano di
“Volskswagen” Pasinato, il giovane Torresin aveva sostituito il febbroso Garella, ritrovandosi per la
prima volta faccia a faccia con il Mundial Bruno Conti e con Pruzzo.

I primi dieci minuti sono stati del Verona, palle-gol di Volpati e Penzo comprese. Però la Roma è
una cosa seria, anzi serissima. Ha un suo plafond che prescinde dalla formazione; non a caso
all’inizio del campionato riuscì a far a meno di Falcao.

La Roma ha reagito subito, chiarendo molto in fretta il tipo di partita . Aperta, mai scontata, gioco
contro gioco, senza ostruzionismo, nemmeno cattiva. Il nerbo è sempre innocente; è la cattiva
coscienza che fa male.

Al Verona in pressione, la Roma opponeva il suo bel ventaglio in avanti, Conti-Iorio sui corridoi,
Pruzzo al centro. Dopo Valigi, era proprio il centravanti a inventare al 13’ uno degli episodi che
fanno cronaca: la testata centrale e bassa quasi flette sulle ginocchia Torresin, però capace di una
reazione per niente ortodossa, quasi una sberla al pallone, dal basso in alto. Traversa!

Il Verona mangia la foglia; se aveva qualche dubbio ora sa per certo che la Roma è sempre in grado
di affondare il ko. Non a caso al 21’ ci riprova Pruzzo, servito da Conti, e qui Torresin si oppone
con il corpo, facendo carambola. Il pallone s’impenna e plana sopra la rete.

Faccio la conta: in una ventina di minuti sono già quattro le palle gol. E’il tempo delle mele, lo si
odora nell’aria. Al 27’ Roma in vantaggio in un momento in cui equilibrandosi, entrambe le squadre
avevano preparato il gol.

Preso il pallonetto di Iorio, una squadra finta potrebbe anche rimetterci in compostezza. Cosa che
non accade al Verona anzi epidermico nella risposta, prontissimo a ricuperare ritmo e speranza.
Forse non passano nemmeno due minuti interi, quando tutto ritorna uguale, sull’1-1.

Se l’1-0 di Iorio fotografava la tipica, palleggiata pressione della Roma, l’1-1 di Penzo era figlio
altrettanto tipico del “gioco alla Bagnoli”, un piccolo teorema di Pitagora dove tutte le superfici
vanno in armonia. Ricordate il gol di Guidetti contro l’Inter a San Siro? Fu un capolavoro. Ebbene,
l’1-1 di ieri non lo eguaglia minimamente ma nasce da una comune geometria.

Il perno di base è stavolta nel libero Tricella, sganciato in mezzo al campo come i vecchi
centromediani del Metodo. In più lo sganciamento del terzino Marangon. Poi l’ala destra Fanna che
si smarca a sinistra e da quella posizione crossa rasoterra verso Marangon e Penzo, a costui per
l’ultimo tocco a rete. Un libero, un terzino, un ala che viaggia a tutto campo, l’uomo-gol puntuale.
Per questo il Verona è lì; sempre lì; ancora lì nonostante Inter e Roma negli ultimi 15 giorni, senza
contare la Juve all’orizzonte.

Nessuno lo sapeva ma con Penzo il risultato era chiuso. Non certo la partita, che registrava tra il 42’
e il 52’, il formidabile palo di Di Bartolomei e altre tre palle gol di Pruzzo, Conti e Maldera. Ma
offriva anche dal 66’ in poi, il veemente ritorno del Verona a rete, con Marangon, Dirceu e Sella,
quest’ultimo nel ruolo di Penzo, stirato dopo un’ora.

Per una grande partita l’1-1 è persino minuscolo, lascia un segno di incompiutezza. Mentre la Roma
respira il suo nuovo 1942 tricolore, Osvaldo Bagnoli vive un’esperienza persino grottesca: il meglio
della sua carriera gli dà il sospetto di meritare persino di più. E’ il colmo, no?