1983 Gennaio 24 Pari pro-Roma

1983 Gennaio 24 – Pari pro-Roma

Poiché hanno pareggiato tutte, è come se avesse vinto la Roma! Senza Falcao e in pericolosissima
trasferta, Liedholm è riuscito a tenere a bada Verona, Inter e Juve. Meglio di così non gli poteva
proprio andare anche se Pruzzo (al 13’) e Di Bartolomei (al 41’) hanno inferto al Verona una
traversa e un palo.

Nel Veneto si è giocata una grande partita, a sottolineatura di quanto aveva ribadito anche Bearzot:
“Roma e Verona si assomigliano. Sono le due squadre migliori del campionato”.

E’ stato inconsueto anche il contorno, l’atmosfera. L’incasso ha fruttato 525 milioni, record del
Bentegodi. Nei titoli di presentazione si parlava ovunque di scudetto, altro record del Bentegodi.
Persino il sole ha aiutato a lavorare due squadre che amano tirar fuori dal gioco il massimo dello
spettacolo possibile. “La Roma – mi aveva detto giorni fa Tardelli – è la squadra che sembra
divertirsi di più”.

In mezzo a un’esplosione di fumogeni e di coriandoli senza precedenti nel Veneto, Verona- Roma
ha corso soltanto un brivido maligno, di dolore e di impotenza. Al primo minuto, quando tutti si
sono fermati immobili nel ricordare Enzo Scaini, povero atleta del Vicenza, morto chissà perchè
durante un innocuo intervento chirurgico al ginocchio. Scaini lo ricordavo proprio qui, su questo
campo, con quell’andatura possente, la falcata forte come il destino che l’ha fermato in un tackle
senza fine. Qualche giocatore si è fatto il segno della croce; la gente ha applaudito di commozione.

La morte non lascia opzioni, si vive, si gioca oltre i ricordi. E Verona-Roma diventa fin dai primi
istanti una partita intensa, di ritmo persino presuntuoso, quasi dovesse esaurirsi tutta in una
fiammata. La cosa che più ha colpito è l’atteggiamento del Verona: un sentirsi alla pari, senza il
minimo complesso. Non sembrava per niente una squadra di provincia, ma il riflesso pieno di una
città protagonista e piena di passato. “Eravamo una città mittel europea” aveva ricordato nei giorni
scorsi l’editore Giorgio Bertani, risalendo ad antiche radici.

La Roma fa un gioco raccolto, di meditazione. Sembra lento, invece è carico di riflessione. I
giocatori stanno molto compatti, quasi temessero la solitudine tattica, e ciò li cautela. Il gioco della
Roma è meno sfiancante di quello del Verona. E’ come se risparmiasse il fiato nel coro, senza
dispendiosi assolo.

Anche se cura la stessa compattezza nei reparti, il Verona ha opposto alla Roma un gioco diverso.
Altrettanto schematico e a memoria, ma più dinamico e battente. In fondo più rischioso perché si
oppone a ricuperi sempre in velocità, sullo scatto più che sul piazzamento.

Ne è uscito fuori un match importante, da buongustai, attenti a cogliere lo stabile disegno del gioco
oltre alla precarietà dei risultati. E’stato 1-1 con Iorio e Penzo. I due numeri undici, eppure ci stava
tutto: prima la vittoria della Roma (palo di Di Bartolomei), poi del Verona ( due inteventi-partita del
portiere Tancredi su Dirceu e Sella).

Nonostante i rischi finali, la Roma mi ha fatto una grande impressione. Ha il fisico del ruolo; non
sente più lo scudetto come un’avventura, bensì come un diritto maturato dal lavoro di Liedholm.
Nella parte centrale del match si è mossa come a casa propria, con saggia disinvoltura, portando
felpati assalti. Pur priva del più grande dei dosatori di gioco, cioè di Falcao, la Roma colpisce a
volte con zampate foderate do organza. Da Di Bartolomei a Bruno Conti, certi lanci, suscitavano
emozioni spagnole.

Il Verona ha giocato la partitissima caricato dalla psicosi della “grande occasione”: non se ne è però
lasciato schiacciare, pur soffrendo alle spalle l’inquietudine di un ventiduenne portiere esordiente,
Alberto Torresin di Cittadella, chiamato in extremis a sostituire Garella, vittima di un febbrone.

Alto quasi un metro e novanta, il fisico di un Fabio Dal Zotto e il braccio pendulo di un Cudicini,
Torresin ha preso il gol perché, in uscita nessun difensore era corso sulla linea di porta a
proteggerlo. Per il resto ha fatto cose anche stravaganti, con sonnambula eccentricità, contribuendo
a divertire. Il suo pugno si snodava preciso e periscopico. In una occasione, esattamente al 48’, ha
poi stroncato un pallonetto-gol di Conti, stoppando la traiettoria con una sola mano, la destra! Un
portento da cestista, un gesto da globetrotter, una di quelle cose che fecero al Mundial di Spagna la
singolare fama del negrone del Camerun, N-Kono. “Roba da Zamora!” ha esclamato con noi Brera.

Per un sacco di ragioni questo Verona è davvero sensazionale. Sprecò un punto con la Sampdoria,
uno a San Siro con l’Inter. Manovrando in sonante contropiede, ieri ha avuto in mano il 2-1 con
Dirceu e soprattutto con Sella. Non ha mai rubato nulla, semmai è in credito. Non gode di poteri di
alcun genere, è l’acqua e sapone del football. Con 9 gol ha in Penzo il miglior realizzatore del
campionato. Non sa che cosa sia il catenaccio, la barricata, la rinuncia calcistica. Ha rivalutato del
300% Fanna, apparso ieri attaccante a tutto campo, altro che il malinconico pelatino della Juve. Per
il fisico e il cranio lucido lo chiamano “Lato”: beh, contro la Roma sembrava parente della grande
ala polacca anche per la quantità di buone cose fatte.

Osvaldo Bagnoli non ha voluto parlare: forse il sogno dello scudetto gli sta pesando un po’. Ma direi
che non ha proprio nulla da rimproverarsi, nemmeno i punti forse sprecati. La grande avventura
continua, domenica a Torino con la Juve! Per il Triveneto l’emozione resta in prima pagina: pensate
che contemporaneamente in Friuli si giocherà Udinese Fiorentina, per il quinto posto.

Ma siamo sicuri che è tutto vero? Mah.