1983 ll Friuli è una squadra

È nata una Grande, l’Udinese 1983. Il Friuli non è più provincia nel senso riduttivo del

IL FRIULI E’ UNA SQUADRA

termine.

Per la copertina di questo inserto non abbiamo scelto una fotografia di Zico perché
nemmeno un asso, per quanto grande, può da solo rendere grande un club. Con un asso è possibile
fare « il salto di qualità», a patto che, s’innesti una società di «qualità», in grado di contare su un
pubblico di «qualità»: la copertina giusta è uno sventolio di bandiere, un simbolo dell’habitat
sportivo del Friuli. Qui è nata una Grande ancor prima di disporre dei risultati che otterrà in campo
fino alla primavera del 1984: a mancarci è il rendiconto tecnico, non quello sulla salute della Spa
bianconera.

Gli abbonati hanno superato il tetto dei 25 mila. Alla stessa cifra arriverà presto il numero
degli iscritti ai Clubs. Lo spettacolo allestito allo Stadio Friuli aspira clienti di ogni ceto, di ogni età
e di ambo i sessi tanto da Udine e dal Collio quanto da Pordenone. Lo stesso Veneto orientale non
ha la minima perplessità logistica: tra Verona e Udine, la serie A più a portata di mano e meglio
affine sta in Friuli.

L’Udinese è un Club di massa, non a caso l’avvio dell’azionariato popolare –
completamente abortito in altre esperienze italiane – qui ha rotto il muro dello scetticismo con
adesioni per un miliardo e mezzo. Lo scorso maggio a Pordenone Lamberto Mazza mi disse: « La
gente è alla ricerca di ritrovarsi. Lo sviluppo così spasmodico, così violento, che c’è stato negli
ultimi anni, ha praticamente diviso gli uomini. Il modo di vivere, soprattutto nelle grandi città, è
abbastanza sterile e privo di espressioni sentimentali. Allora c’è la ricerca di ritrovarsi. Lo stadio
serve a questo».

Sociologia a parte, l’Udinese non è una squadra del Friuli: è il Friuli. Se non si afferra tale
equazione non si riuscirà mai a capire la differenza che passa tra questo e altri Club. La Regione
della Piccola Patria identifica étnos e pallone: può far discutere ma è così. Un recente slogan
turistico del Friuli-Venezia Giulia non la definisce appunto « una Regione a servizio completo?»
Zico ha reso D.O.C. l’Udinese, e viceversa. Virtù chiusa, la friulanità si è fatta cosmopolita:

una terra di emigrazione ha preso gusto a ospitare, con Edinho e Zico, il meglio del calcio dei
virtuosi. Misteriose emancipazioni di popolo possono filtrare anche attraverso pregiate caviglie di
ballerine del pallone. Non è megalomania, ma crescita anche se sarebbe da improbabili trappisti
pretendere che Mazza e/o Dal Cin non abbiano anche usato l’estenuante petting con Zico per
irrobustire posizioni personali.

I giornali vendono troppo spesso merce squalificata. Titoli cubitali dissero che Zico era
costato dieci miliardi: balle, tre e mezzo. Che Zico aveva un ingaggio di un miliardo l’anno: balle,
390 milioni. Che l’Udinese non aveva i soldi per pagare Zico al Flamengo: balle, lo ha pagato in
tempo utile. Che l’Udinese stava andando verso un bilancio di previsione 1983-84 da bancarotta
pressoché fraudolenta: balle, il bilancio rivela un probabile utile di 17 milioni alla fine di un giro
d’affari per 25 miliardi, 12 miliardi 396 milioni di spesa, 12 e 413 d’entrata. Ciò pur predisponendo
4 miliardi d’ammortamento dei giocatori in imminenza di svincolo e pur prevedendo dagli spettatori
paganti un incasso prudenzialmente pari a quello dello scorso campionato.

Con due miliardi d’ingaggi e uno Zico in più, quei 17 milioni di attivo assumono l’enorme
valore di un dividendo da Spa che, benché senza fine di lucro, non è mai sottratta alle terree leggi
della buna amministrazione. Fino allo scorso giugno Mazza gestiva con il gruppo Zanussi 32.500
dipendenti, un fatturato di 1.430 miliardi, 24 aziende Udinese compresa e debiti bancari per qualche
centinaio di miliardi: oggi Mazza non è più un Gruppo bensì un uomo solo, con risorse personali e
con personalissimi rischi. È cambiato tutto, il tipo di presidenza e la natura della Società che ha di
colpo cessato d’essere la ventiquattresima figlia di «Mamma Zanussi», trasformandosi in un club

privato e a doppio fondo: su una base mai tanto estesa e popolare nel consenso, la gestione si
concentra al 100% ad un unico livello, quello di Mazza e di Franco Dal Cin, giovane manager che
da Sanson a Mazza a Zico ha percorso la lunga marcia dell’efficienza e del professionismo cui
manca soltanto una rifinitura caratteriale e politica nei rapporti umani e di potere.

Con Zico l’Udinese ha portato nel calcio italiano un elemento di rottura e di novità nel
concetto di investimento. L’operazione è costata lacerazioni, risentimenti, sospetti che – se lasciati a
mezz’aria potrebbero alla lunga rovinare l’atmosfera. Gli stessi arbitri, letti attraverso una pellicola
unta di vittimismo e di molto presunte vendette del Potere, finirebbero con il pagare senza ragione
la perdita di ironia, di senso dello spettacolo e dell’immagine. Ciò va respinto.

Con Zico e per Zico, il Friuli chiede di divertirsi non di avvelenarsi, memore che anche nello
sporto di massa il primo vero «salto di qualità» sta nella «qualità della vita», in una corretta cultura
del tempo libero prima ancora che nel numero di gol messo in produzione da Enzo Ferrari & dai
suoi Samba boys.
È molto importante e altrettanto piacevole che Federico Sordillo, il personaggio più

impopolare in Friuli, abbia riaperto un dialogo non facile. Non fu il Coni a chiudere il Caso Zico: lo
ha chiuso oggi Sordillo sul «Gazzettino», con un gesto da signore.

applausi e gol!

Il Millenario è civiltà, il portone del Friuli si spalanca allo stadio. Forza Udinese, dispensa